Il 2025 segna un importante capitolo nella legislazione italiana con l’approvazione, da parte della Regione Toscana, della legge sul fine vita. Una legge che introduce e disciplina l'accesso alle pratiche di eutanasia e suicidio assistito. Sebbene questa decisione segua una linea di discesa che si è manifestata in vari contesti europei, la questione rimane complessa e suscita riflessioni etiche e morali che vanno ben oltre il piano legislativo. In particolare, l’attenzione si concentra sulla posizione della Chiesa cattolica e delle autorità ecclesiastiche, che, pur riconoscendo il diritto alla dignità delle persone in condizioni di sofferenza, ribadiscono l’importanza di tutelare la vita e di garantire un'assistenza sanitaria adeguata.
La Conferenza Episcopale Italiana (Cei), insieme a Papa Francesco, ha sempre sostenuto che la vita è un dono inviolabile, e che ogni tentativo di accorciarla intenzionalmente, per quanto motivato da sofferenze fisiche e psicologiche, non può essere la soluzione. In particolare, la Cei ha reiterato che la vera dignità non si trova nel controllo della morte, ma nel prendersi cura di ogni persona, fino all’ultimo momento, con amore e compassione.
Papa Francesco ha più volte richiamato alla “cultura della vita”, contro la crescente cultura dello scarto che tende a escludere chi è vulnerabile. Il Santo Padre ha sottolineato che la vera dignità si esprime nell’accompagnamento umano e nell’assistenza che mette al centro la persona, non come un oggetto da eliminare, ma come un essere umano da amare e aiutare fino alla fine. La Chiesa invita, quindi, a un impegno maggiore nella cura delle persone sofferenti, specialmente quelle che si trovano nel fine vita. Non è la morte che deve essere accelerata, ma il sostegno alla vita che deve essere intensificato, attraverso un sistema sanitario più sensibile e attento.
Ed è proprio su questo punto che si inserisce la riflessione sul ruolo fondamentale del servizio sanitario nazionale. L’assistenza ai malati terminali e alle loro famiglie, soprattutto in contesti di sofferenza intensa e irreversibile, deve essere al centro delle politiche sanitarie. La Chiesa invita il servizio sanitario pubblico e privato ad essere la vera "culla della dignità" nelle fasi più delicate della vita, garantendo l'accesso a cure palliative di alta qualità e un accompagnamento umano che sappia dare conforto spirituale, psicologico e fisico. È il compito di tutti – dai medici agli infermieri, dai familiari ai volontari – prendersi cura, senza mai cedere alla tentazione della morte assistita, ma senza mai dimenticare il valore della vita in ogni sua fase.
L'approvazione della legge in Toscana può, quindi, essere vista come un’opportunità per riflettere su come migliorare le cure palliative, sviluppare una cultura della solidarietà e dell’accompagnamento, e promuovere l’umanità nella sofferenza. La legge, purtroppo, rischia di passare per una soluzione che intende porre fine alla sofferenza attraverso l’eliminazione della vita stessa, mentre la vera sfida rimane nel rendere la sofferenza più sopportabile, nel garantire ai malati il massimo supporto possibile in ogni momento, e nel rafforzare l'umanità del nostro sistema sanitario.
La posizione della Chiesa, quindi, non è contro i diritti delle persone, ma per una visione che protegga la vita in ogni sua fase, che sappia garantire il rispetto, la dignità e l’amore, soprattutto in quei momenti più oscuri. Concludendo, l’invito è a non lasciare solo nessuno nel fine vita, ma a essere testimoni di un amore che accompagni fino alla fine della vita, dove la sofferenza non deve mai essere affrontata da soli, ma con il sostegno di una comunità e di un sistema sanitario che rispetti il più grande dei diritti: quello alla vita.
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