FEDE E RELIGIONI - 31 gennaio 2025, 08:00

PAPA: La sfida di essere comunicatori di speranza

Il Giubileo del Mondo della Comunicazione è passato, ma gli appelli del Papa a farsi promotori di un nuovo modo di comunicare vanno oltre l’evento giubilare. Per Francesco bisogna mettere al centro il racconto delle storie di bene, vincendo la tentazione di un certo giornalismo che tende a dare spazio solo al male

PAPA: La sfida di essere comunicatori di speranza

Alessandro Gisotti - VN

Siate promotori di speranza. Siate narratori di storie di bene. Papa Francesco ha lanciato questa sfida ai comunicatori di tutto il mondo, credenti e non, in occasione del Giubileo a loro dedicato. Ai comunicatori, dunque, non solo ai giornalisti. Per il Papa, infatti, la comunicazione non si limita alla pur importante professione giornalistica. Il suo sguardo sulla comunicazione è a 360 gradi: non è infatti solo la “produzione di notizie”, ma una dimensione essenziale dell’essere umano, che coinvolge cuore e intelletto. Per questo la comunicazione di speranza a cui Francesco si è richiamato in questo Giubileo diventa una sfida urgente non solo per i giornalisti, ma per tutti coloro che hanno a cuore la cura di un’umanità sempre più ferita dalla violenza e dalle ingiustizie.

Nel considerare il territorio della comunicazione più ampio di quello dell’informazione, Francesco si collega idealmente a colui che, sulla scia del Concilio, è stato il promotore delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali: San Paolo VI. In effetti, Papa Montini - pur essendo ben consapevole di quanto i mezzi di informazione influenzassero la vita delle persone e della Chiesa stessa - volle che la annuale ricorrenza fosse appunto dedicata a tutti gli operatori delle comunicazioni, non solo ai professionisti dei media. Come per il suo amato predecessore, la comunicazione per Francesco non è solo un atto funzionale. E’ “materia prima” dell'esistenza umana, in quanto l'uomo è una creatura amata da Dio, che comunica con lui fin dal principio. Da cuore a cuore. Ogni comunicazione umana è, perciò, inserita nel circolo della comunicazione divina.

Effettivamente, fin dall’inizio del Pontificato, Jorge Mario Bergoglio ha sempre sottolineato l’importanza della comunicazione “con il cuore”. Negli ultimi messaggi per le Giornate delle Comunicazioni Sociali, ha ripetuto questa formula: ascoltare, parlare, vedere, ma sempre con il cuore. Anche nel Messaggio per la Giornata del 2024, dedicata all’Intelligenza Artificiale, ha voluto sottolineare che anche se le macchine avanzano nel loro sviluppo tecnologico, nulla potrà sostituire un cuore umano che prova compassione per i suoi simili. Del resto, nella Bibbia quando si scrive “cuore” non ci si riferisce solo a un organo, a una parte, ma al centro dell’essere umano, il luogo dove nascono le emozioni, i sogni e le paure. Dunque il cuore è il tutto dell’uomo, non un pezzo.

Nel suo primo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Francesco indicò nel Buon Samaritano il modello del buon comunicatore. La grande forza di questo esempio, scriveva, è il “potere della prossimità”, cioè il sapersi avvicinare agli altri, soprattutto a chi soffre, senza pregiudizi. E dunque rischiando. La comunicazione che genera speranza, ci dice ora il Papa con una chiamata all’impegno, non può limitarsi a trasmettere informazioni, ma deve essere capace di entrare in relazione profonda con il prossimo, portando una parola di consolazione e di speranza. Non basta insomma comunicare il vero, ha detto ai giornalisti di tutto il mondo in Aula Nervi, bisogna anche essere veri.

Ma cosa intende il Papa quando parla di speranza? Innanzitutto non si tratta di un’illusione per farci stare bene o di un anestetico per non farci soffrire. Non si tratta nemmeno di una visione ottimistica. La speranza, che per un cristiano ha il volto e il cuore di Gesù, ci dà la direzione, ci fa alzare lo sguardo con fiducia verso ciò che ancora non possiamo vedere. Per riprendere Václav Havel: l’ottimista pensa che tutto andrà bene, chi ha speranza invece sa che - pur non andando tutto bene - tutto però ha un senso. Una direzione appunto. La speranza, per Papa Francesco, è un dono che viene da Dio. Ma è anche un compito, come sottolineava Madeleine Delbrêl, che ci chiama a farci carico degli scartati. Quindi la speranza cristiana – come il Pontefice ha appassionatamente ricordato nella Messa della Notte di Natale, subito dopo aver aperto la Porta Santa in San Pietro – ci rende inquieti, ci smuove dalle nostre pigrizie, frantuma le nostre comode convinzioni. E’ una virtù “rischiosa”. E’ un atto di responsabilità verso gli altri.

Cosa possono fare allora i comunicatori, a partire da quelli di ispirazione cristiana, per far camminare questa speranza di cui, come ci direbbe Charles Peguy, non possiamo fare a meno se vogliamo vivere pienamente la nostra avventura di cristiani? Nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali di quest’anno giubilare, Papa Francesco evidenzia come, in un mondo segnato dalla disinformazione, la comunicazione dovrebbe ritornare ad essere un canale dove transita la speranza. All’Angelus di domenica scorsa, salutando i comunicatori presenti in piazza, ha chiesto loro di essere “narratori di speranza”. E il giorno dopo, incontrando i responsabili della comunicazione delle Conferenze episcopali di diversi Paesi, ha aggiunto un tassello a questo mosaico quando ha detto che “ogni cristiano è chiamato a vedere e raccontare le storie di bene che un cattivo giornalismo pretende di cancellare dando spazio solo al male”.

La comunicazione di speranza, per il Papa, è proprio questo: cercare e raccontare storie di bene. Mettere al centro dell’attenzione le esperienze di speranza vissute ogni giorno dalle persone comuni, da quei santi della porta accanto di cui tante volte ci ha parlato in questi anni. In un tempo che sembra dimenticare gli ultimi, il Papa ci invita a dare voce proprio a chi non si dà per vinto e fa emergere quelle scintille di luce che riluccicano anche negli angoli più bui dell’umanità. Il Papa ci sprona a cercare queste pepite di speranza anche se sono incastonate nel fango. E’ un impegno per l’Anno Santo, ma che deve proseguire anche dopo. Perché, come ha già affermato una volta, “ogni storia è grande e degna, e anche se è brutta, se la dignità è nascosta, sempre può emergere”.

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