Chez Nous - 18 novembre 2024, 08:00

A quando la pena di morte?

Il Governo Meloni ha un’idea di giustizia che non ha nulla a che vedere con la tutela dei diritti fondamentali, la riabilitazione dei detenuti e il principio costituzionale della pena come funzione rieducativa

A quando la pena di morte?

Durante una cerimonia che aveva tutta l’apparenza di un'operazione di marketing politico, Andrea Delmastro Delle Vedove, ottosegretario alla Giustizia con delega al Dipartimento delle Carceri, ha rivelato senza pudore e con una certa teatralità ciò che di più inquietante potrebbe serpeggiare nei corridoi del potere: un’idea di giustizia che non ha nulla a che vedere con la tutela dei diritti fondamentali, la riabilitazione dei detenuti e il principio costituzionale della pena come funzione rieducativa. Piuttosto, quello che ha voluto celebrare, con tanto di picchetto d'onore e mitra impugnati, è il culto della vendetta e della sottomissione, il piacere di vedere il nemico, o presunto tale, ridotto alla totale impotenza, prigioniero in una gabbia metallica.

L'occasione è stata la consegna di una nuova "auto robocop", la SsangYong Rexton Dream e-XDi220, destinata al trasporto dei detenuti in regime di 41-bis e alta sicurezza, ma non è stata la tecnologia in sé ad attirare l'attenzione. È stato piuttosto il discorso del Ministro, il suo compiacimento per quella “potenza” che, a suo dire, doveva essere mostrata ai cittadini, per far sapere chi sta dietro quei "vetri oscurati". “Incitare” la paura, minacciare con forza l'immagine di una giustizia non solo punitiva ma puramente retributiva, come se ogni detenuto fosse solo una minaccia da annientare. La retorica che ha usato, con l'espressione "non lasciare respirare" chi è dietro il vetro, non è solo pericolosa, ma rivela una visione della giustizia che rasenta la barbarie.

Non si tratta più di una giustizia che cerca di reintegrare il reo, di offrirgli la possibilità di una seconda chance, di rieducarlo alla società da cui è stato escluso. No, Delmastro ha spogliato la sua posizione di ogni remora e ha mostrato senza filtri un pensiero che non lascia spazio all’ambiguità: i detenuti, quelli veri, quelli che rientrano nel suo universo di criminali senza speranza, sono solo oggetti da esibire come monito pubblico. La sua esultanza davanti alla sfilata del mezzo blindato che avrebbe dovuto trasportare, probabilmente, anche uomini e donne la cui unica colpa è stata quella di essere accusati di crimini, non è altro che l'ennesimo passo verso una giustizia che non sa più che farsene della dignità umana, che considera la vendetta come un obiettivo tanto quanto la punizione.

Fratelli d’Italia, che si vantano di essere i custodi di una tradizione di "valori" (che in questo caso sembrano tradursi in un sempre più esplicito desiderio di restituire l’Italia ai tempi più oscuri della giustizia e della violenza di stato), dovrebbero rispondere a una domanda molto semplice: a quando la pena di morte? Se il Ministero della Giustizia, sotto la sua gestione, sembra ormai entusiasta di condurre uno spettacolo che celebra la paura e il controllo, perché non rendere ufficiale ciò che implicitamente si sta già affermando? La logica della "punizione esemplare", della "pena perpetua" per chiunque venga classificato come criminale, è il prossimo passo naturale, non è vero? D’altronde, non si tratta solo di blindati, di veicoli destinati a trasportare esseri umani in gabbie, ma di un intero sistema che sembra pronto a dimenticare non solo la riabilitazione, ma anche la semplice umanità.

La logica che Delmastro ha manifestato non è quella di un governo che crede nei principi costituzionali, che difende il diritto alla difesa, che cerca di comprendere le cause del crimine per prevenirlo e non solo per punirlo. Questo non è un Ministro della Giustizia, ma un Ministro della vendetta. Non un politico che crede nelle potenzialità di reintegrazione sociale, ma uno che sembra pensare che le celle siano il luogo dove i detenuti devono restare per sempre, senza diritto di evolvere, senza possibilità di redimersi.

La frase pronunciata con tanto fervore e senza scrupolo — "non lasciare respirare" chi sta dietro quel vetro oscurato — non è solo un richiamo a un tipo di giustizia medievale, ma la promessa di un futuro in cui la nostra società, quella che si vanta della sua civiltà e dei suoi diritti, rischia di diventare sempre più simile a quella di un passato buio, dove la pena, invece di educare, distrugge ogni speranza di cambiamento. In questo scenario, dove non si fa distinzione tra colpevoli e innocenti, dove ogni carcere diventa una prigione senza scampo, senza pietà, la domanda che sorge spontanea è: a quando la pena di morte? Se questo è il futuro che ci preparano, se il sistema giuridico è ridotto a un semplice strumento di oppressione e paura, la risposta è forse più vicina di quanto pensiamo.

Meditate valdostani.

Queste, in sintesi, le partole di Del Mastro

L’idea di vedere sfilare questo potente mezzo che dà prestigio, con il Gruppo operativo mobile sopra, l’idea di far sapere ai cittadini chi (scandisce, ndr) sta dietro a quel vetro oscurato, come noi incalziamo (scandisce, ndr) chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare (scandisce, ndr) chi sta dietro quel vetro oscurato, è sicuramente per il sottoscritto una intima gioia. E credo che in una visione molto semplificata dell’esistenza sia una gioia per tutti i ragazzi che si affacciano alla vita e vogliono scegliere di servire lo Stato nella Polizia penitenziaria come prima scelta».

 

piero.minuzzo@gmail.com

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