Agli inizi dell'autunno Jacopo cena con la TV accesa e come sempre, a quell’ora presta ascolto, più che guardare, al telegiornale locale. Tra una chiacchiera e l’altra con la sua signora coglie una notizia che lo incuriosisce. Si volta verso la televisione e rimane impietrito dal servizio sulla morte di due giovani svizzeri appartenenti ad una organizzazione ambientalista. Dal notiziario si apprendeva che questi giovani attivisti erano rimasti vittime di un’esplosione mentre armeggiavano presso il pilone di un’altra pala eolica che stava per essere installata nei pressi del Passo del Gries per alimentare, con questa ennesima struttura quello che con stridente ambiguità viene definito Parco Eolico ma che con enfasi da ventennio, la giornalista teneva a sottolineare come quello del Gries fosse “il Parco Eolico più alto d’Europa”.
Non ci avrebbe fatto caso Jacopo se uno dei nomi citati dalla TV non fosse stato Gunter e non ebbe dubbi ad individuare in uno dei due volti immortalati nelle fototessere la mitica Fenice di Orfalecchio.
La giornalista mentre un video mostrava il luogo dell'incidente, spiegava che nei pressi era stata trovata una lettera con la quale si rivendicava quello che sarebbe risultato un attentato finito tragicamente.
Nella lettera si parlava di “salvare la montagna ad ogni costo" E grande fu la sorpresa di Jacopo quando la giornalista precisò che la lettera, attualmente in mano agli inquirenti elvetici era scritta in tedesco ma firmata in italiano con “La Fenice” e riportava un disegno stilizzato che la ritraeva: la stessa Fenice che era stata nelle mani di Jacopo appena qualche mese addietro.
Nel servizio si aggiungeva anche qualche altra informazione: i due, che erano fratelli vivevano a Chur, Coira, dove avevano dato vita ad un'associazione ambientalista clandestina che mirava ad azioni ben più che dimostrative. Veri e propri atti di forza rivolti contro impianti simbolo di uno sviluppo che di sostenibile ha sempre più spesso solo l'etichetta.
Quel telegiornale suscitò in Jacopo un’inevitabile ridda di domande: perché quel biondo riccioluto era lì? Perché si era attendato lì quando poco vicino avrebbe potuto usufruire di un riparo più confortevole come quello delle baite?
Forse stava raggiungendo a piedi il Passo del Gries attraversando la Val Grande come aveva fatto alcuni anni fa, in piena pandemia coi bivacchi chiusi, il suo amico Fabrizio? Forse in quella tendina assieme alla lettera c'era già il tritolo che qualche giorno dopo lo avrebbe dilaniato? E perché “la Fenice” lo richiamò dall’impervio sentiero per consegnargli quella missiva? E se non fosse passato lui, quella lettera sarebbe stata mai spedita e arrivata e di conseguenza anche l’attentato col suo carico di morte si sarebbe compiuto?
Quella notte e per altre ancora Jacopo mi disse che non riuscì a dormire. Un senso di colpa lo pervase anche se non ce n’era motivo. Per giorni e giorni si dibatté sull’opportunità di andare a riferire alle autorità quanto gli fosse accaduto. Ma l’assurdità di quell’avvenimento, di quell’incontro sul fiume e della consegna della lettera erano talmente inverosimili che Jacopo temeva di cacciarsi nei guai con l’accusa di essere un mitomane con chissà quali conseguenze.
E poi i due ragazzi erano morti, il Parco eolico era salvo ed era questo che contava di più (come fecero intendere neppure troppo velatamente i telegiornali nei giorni a seguire). A chi importava veramente della fine di quelle due giovani vite? Il progresso non si può fermare e tentare di farlo è sempre pericoloso. Questa era l’amara conclusione alla quale Jacopo pervenne trovando un po' di pace. La stessa pace alla quale avevano diritto i due fratelli della Fenice. Che riposassero quieti sotto terra, sfiorati solo dal vento, quello stesso che proprio loro non volevano che venisse intercettato dai signori del progresso con le loro gigantesche pale rotanti.
Da tanto tempo Jacopo mi disse di non raccontare più questa storia. Anzi, solo poche ed intime conoscenze ne furono da lui messe al corrente. Ed anche a me, se non fosse stato per quel diavolo del Gianfry che avevo tirato in ballo era certo che non me ne avrebbe parlato.
La storia ci spinse a cercare di approfondire le motivazioni che avrebbero potuto esserci alla base di un gesto così estremo da parte di due giovani e concordammo entrambi sul sentimento forte che li aveva animati ricordando quanto l’indifferenza stesse permeando il nostro presente nonché futuro ambientale.
Forse “la Fenice” e suo fratello tentavano lungo una strada pericolosa di abbattere il comune pensare che riguardo a temi così importanti vedeva addirittura l'ONU parlare di "sviluppo sostenibile" intendendo però dire “continuiamo pure così cercando solo di moderarci un po'” come aveva amaramente tradotto l’acuto Alexander Langer.
La prima pala eolica installata al Passo del Gries (ph. M. Carlesso)
Ci lasciammo che il cielo si era aperto. Uno squarcio di azzurro confortante alleggeriva il pathos degli avvenimenti narrati. Non pioveva più. Il commiato avvenne in giardino da dove erano tornate a vedersi le quinte delle montagne sebbene ancora cariche di vapore piovigginoso. Faceva ancora freddo e cosi scambiammo solo due parole ed una calda stretta di mano non prima di aver lanciato assieme uno sguardo commovente alle lontane cime del Morissolo, dello Spalavera, della Zeda e del Gridone che difendono, al loro interno, quel toboga selvaggio che è il Rio Val Grande sulla sponda del quale, su una quieta ansa, ha dormito la Fenice.
Mentre seguivo con lo sguardo Jacopo allontanarsi egli si voltò e mi gridò:” …la Fenice risorgerà!”. Alzai il pollice in segno di assenso convinto che prima o poi capiterà.
Basta solo aspettare.