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Chez Nous | 14 aprile 2025, 08:00

In fila indiana col burrocacao

Corrispondenza da Washington (o dall’inferno) “Qui è tutto un bacio... tranne la democrazia” Washington DC, aprile 2025

In fila indiana col burrocacao

Un sussulto improvviso. Un fremito. Un rumore di ciabatte nel corridoio della Storia.
Sì, perché appena il Tycoon ha evocato quella parte anatomica da baciare, la destra internazionale ha iniziato a lucidarsi le ginocchia. E in testa al corteo, con tanto di fazzoletto a stelle e strisce e selfie pronti da postare, Meloni e Salvini. Lei con l'entusiasmo da cheerleader di Reagan, lui col cappellino MAGA comprato in saldo al Duty Free di Mosca.

La premier, che fino a ieri giurava lealtà atlantica come se fosse al Giubileo della Nato, oggi pare pronta a organizzare un viaggio spirituale a Mar-a-Lago, guidando una delegazione bipartisan di baciatori d'élite. “È per la geopolitica!”, diranno. Certo. E pure per la vaselina.

Salvini, dal canto suo, è già in partenza. Passaporto pronto, dizionario italiano-inglese aggiornato (“culo = ass”), e uno zainetto con la foto di Orbán, Putin e Donnie in spiaggia a Miami. Il sogno di Matteo non è più Pontida, ma Palm Beach, dove può finalmente sentirsi il portinaio del condominio sovranista.

Intanto in Europa c’è chi si interroga: “Ma è questo il futuro del conservatorismo occidentale? Una corsa al miglior baciatore seriale?”. La risposta arriva da Tajani, che dal fondo della sala sussurra: “E se fosse strategico… un bacino simbolico?”.

L’impressione è che, sotto sotto, la politica estera italiana sia diventata un casting di cortigiani, con diplomazie ridotte a tutorial su come inginocchiarsi senza sembrare disperati. Il tutto, ovviamente, nel nome della libertà, della sovranità e della poltrona di domani.

E mentre il mondo si agita tra guerre, crisi climatiche e intelligenze artificiali sempre più intelligenti, noi stiamo qui a commentare il metaverso retromaniaco di Trump, dove la linea politica si misura in baci, l’etica in ginocchia e la dignità in saldo.

Ma si sa, chi bacia per primo, bacia due volte. O forse solo il fondoschiena sbagliato.

Corrispondenza da Washington (o dall’inferno)

“Qui è tutto un bacio... tranne la democrazia”

Washington DC, aprile 2025 –
Scrivo da una stanza d’albergo con moquette color senape e televisore perennemente sintonizzato su Fox News. Fuori, sirene. Dentro, confusione. E una sola certezza: Donald J. Trump è di nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.

Sì, avete capito bene. L’uomo della cravatta rossa lunga come la lista dei suoi processi è tornato alla Casa Bianca, questa volta deciso a vendicarsi anche del passato. E come in ogni distopia che si rispetti, il primo segnale che qualcosa non va è arrivato da una frase scolpita ormai nei marmi del delirio internazionale:
“Se fossi ancora presidente, Xi e Putin mi bacerebbero il culo”.
Peccato che non sia più un’ipotesi: lo è. E ora tutti vogliono baciarlo.

Una fila interminabile, come all’Esselunga quando regalano i bicchieri, ma stavolta l’omaggio è la sovranità nazionale. In testa, naturalmente, Meloni e Salvini, a contendersi il posto d’onore con il lucidalabbra già spalmato e un’espressione da “non siamo qui per servilismo, è strategia geopolitica”.

Giorgia, con l’entusiasmo dell’ultima convertita, è atterrata a Washington con lo stesso sguardo con cui si guardano le reliquie di Padre Pio. Matteo, invece, ha portato in dono una copia autografata della Costituzione italiana, già bucata all’articolo 1, in cambio di un selfie col Presidente mentre gli fa l’occhiolino.

Nella hall dell’albergo circolano indiscrezioni: pare che sia in arrivo anche Orban, Marine Le Pen e un misterioso esponente del Vaticano in missione riservata per studiare la possibilità di beatificazione anticipata, previa verifica delle stimmate arancioni.

Intanto, qui a Washington, il clima è surreale. Il Congresso è un gigantesco karaoke MAGA, Twitter è stato nazionalizzato (ora si chiama TRUTHTRUTH), e il nuovo inno nazionale è un remix di “YMCA” con la voce di Trump in playback.
Nelle scuole si insegna che l’assalto a Capitol Hill è stato un picnic fra patrioti, mentre i giornalisti sono stati riclassificati come “agenti emotivi destabilizzanti”.

Nel frattempo, l’Italia ride (per non piangere). I TG aprono con “Missione americana: stretta strategica Italia-USA”, mentre nei corridoi di Montecitorio si sente più spesso la parola “culo” che “legge”. Il Parlamento ha appena approvato un DDL che vieta di parlare male di Trump nei bar, pena l’espulsione dall’aperitivo.

E io? Io sono qui, con la valigia sempre pronta, un biglietto di sola andata per Montreal, e una domanda che mi tormenta:
ma davvero abbiamo ridotto la politica internazionale a una gara di leccate?
Forse sì. Ma almeno noi italiani, in questo, siamo professionisti da decenni.

Dal nostro inviato disperato a Washington, con burrocacao patriottico.

piero.minuzzo@gmail.com

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