Nel suo intervento alla Commissione sul Disarmo delle Nazioni Unite, durante la 79ª Assemblea Generale, monsignor Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede, ha sottolineato l'urgenza di riprendere il cammino del disarmo, con l'obiettivo di contrastare la crescente instabilità politica e sociale che affligge il nostro mondo. La logica della deterrenza, ha affermato, non è solo un ostacolo alla pace, ma alimenta divisioni e diffidenza tra le nazioni, rendendo sempre più difficile la costruzione di una stabilità duratura.
Il monsignore ha messo in evidenza come la crescente corsa agli armamenti e l'accentramento delle soluzioni militari per preservare la sovranità e gli interessi nazionali stiano erodendo progressivamente il dialogo e la cooperazione internazionale, elementi fondamentali per il multilateralismo che ha sempre guidato gli sforzi di pace della comunità globale. Tale approccio, ha proseguito, comporta un “costo significativo” non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di destabilizzazione degli equilibri politici e sociali a livello mondiale.
Il ciclo della corsa agli armamenti: una sfida alla pace globale
Monisgnor Caccia ha anche ripreso le parole di Papa Giovanni XXIII, contenute nell’enciclica Pacem in Terris, che nel 1963 metteva in guardia contro la giustificazione della corsa agli armamenti come strumento di mantenimento della pace. L’idea che la pace possa essere fondata su un equilibrio di forze, ha sottolineato l'osservatore vaticano, resta una visione che “allontana il mondo da una pace duratura”. Se un paese si arma, gli altri si sentono obbligati a fare altrettanto, innescando un ciclo di sospetti e conflitti potenziali.
La necessità di aderire ai trattati internazionali sul disarmo nucleare
Monisgnor Caccia ha poi toccato un tema particolarmente delicato, ovvero quello del disarmo nucleare. In un mondo dove il rischio di un conflitto nucleare appare sempre più vicino, la Santa Sede ribadisce con forza la necessità di intraprendere un cammino di disarmo, come già sollecitato da Papa Francesco. Le armi di distruzione di massa, ha detto Caccia, non sono garanzia di pace, ma “un moltiplicatore di rischio”, la cui detenzione non porta altro che all’illusione di sicurezza. Nonostante la giustificazione della deterrenza, l’uso di queste armi avrebbe conseguenze umanitarie e ambientali disastrose, e per questo la Santa Sede ha invitato tutti i paesi a ratificare il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e a sostenere il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP).
Il dialogo come strumento di pace: anche con gli interlocutori scomodi
Un altro punto centrale del discorso di monsignor Caccia è stato il ruolo del dialogo nella promozione della pace. La diplomazia, come ha ricordato Papa Francesco, deve essere in grado di stabilire “quadri legislativi” per affrontare le nuove sfide globali, come quelle legate all’intelligenza artificiale e alle tecnologie emergenti. Ma la chiave di tutto, ha sottolineato l'osservatore della Santa Sede, è la capacità di dialogare con tutti, anche con coloro che sono considerati “interlocutori scomodi”. Questo, infatti, è l'unico modo per rompere il ciclo di odio e violenza che perpetua il conflitto, e per disinnescare le dinamiche di egoismo e superbia che alimentano la guerra.
Conclusioni: un impegno per la pace globale
Nel suo intervento, monsignor Caccia ha ribadito un concetto fondamentale: la pace non può essere raggiunta attraverso il riarmo, la paura e la minaccia reciproca, ma solo attraverso un impegno condiviso per il disarmo, il dialogo e la cooperazione. La Santa Sede, coerente con l’appello di Papa Francesco, invita tutte le nazioni a riprendere con urgenza il cammino del disarmo, ponendo al centro dell’agenda internazionale una visione di pace fondata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti umani, piuttosto che sulla logica della deterrenza. In un contesto internazionale sempre più incerto, questo appello appare oggi più che mai necessario e urgente per evitare che l'umanità si avvii verso un futuro segnato dalla distruzione piuttosto che dalla speranza.