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ECONOMIA | 24 marzo 2025, 12:11

L’inflazione fa male alla salute

L’aumento dei prezzi riduce e cambia la spesa alimentare, con ripercussioni a lungo termine: gli effetti della dieta low cost in uno studio di The Lancet

L’inflazione fa male alla salute

 L’olio d’oliva costa il 30 per cento in più rispetto al 2023, anno in cui era cresciuto del 50 per cento sul 2022. Pane e prodotti da forno +15 per cento, pesce fresco +12. Il prezzo della carne è aumentato del 10-15 per cento. Rincari certificati dagli enti di statistica e causati dall’inflazione, che pesano sul portafoglio ma che hanno un impatto anche sulla salute.

A indagare il nesso tra inflazione e salute umana è stato un gruppo di ricercatori che ha analizzato e classificato 69 studi empirici, esplorando l’effetto dell’aumento dei costi sui parametri sanitari e sui fattori di rischio collegati, in tempi diversi e nei cinque angoli del Pianeta. Le conclusioni sono state pubblicate sulla rivista scientifica The Lancet.

I risultati suggeriscono un effetto prevalentemente negativo dell'inflazione sulla salute, con specifici gruppi socioeconomici che affrontano rischi maggiori”, scrivono i ricercatori: “L'inflazione agisce come un aumento delle tasse, che diminuisce il potere d'acquisto delle famiglie, rende meno accessibili beni essenziali, come cibo e medicinali, e innesca una cascata di problemi di salute.

Prosegue la ricerca: “Quando vengono poi implementate politiche per contrastarla, come un inasprimento della politica monetaria, le economie spesso cadono in recessione, che non solo aumenta la disoccupazione, un fattore scatenante di vari problemi di salute, ma mette anche a dura prova le finanze pubbliche e determina una riduzione delle allocazioni fiscali per infrastrutture sanitarie, ricerca medica e iniziative di sanità pubblica”. Un quadro preciso di quanto sta accadendo anche in Italia.

Il modello logico elaborato dai ricercatori descrive i possibili percorsi attraverso fattori determinanti a monte, le condizioni socioeconomiche, culturali e ambientali che influenzano indirettamente i risultati sanitari, come per esempio l’occupazione e il reddito, e a valle, elementi più immediati che hanno un impatto diretto sulla salute, per esempio fattori di rischio e servizi sanitari, in cui l’inflazione potrebbe influenzare la salute.

Tra i fattori di rischio c’è anche quello legato all’acquisto e al consumo degli alimenti. L’inflazione, spiegano i ricercatori, porta a una riduzione delle quantità acquistate ma anche a una modifica dei consumi alimentari, in termini di qualità e tipologia, che si traducono in un cambiamento della dieta, soprattutto per chi ha meno disponibilità economiche, che è anche più colpito dalla crescita dei prezzi.

Secondo l’Istat, nelle famiglie con difficoltà economiche, il consumo di frutta e verdura è inferiore del 20-30 per cento rispetto a quelle benestanti. Gli acquisti di carne e pesce di qualità sono calati di circa il 25 per cento negli ultimi due anni, è aumentata la spesa per prodotti a lunga conservazione e a basso costo, spesso più calorici ma meno nutrienti.

Si tratta di cibi ultraprocessati, snack confezionati, bevande e succhi, che tendono ad avere un alto contenuto di zuccheri, grassi saturi e additivi, che contribuiscono all’aumento di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Il divario economico si traduce quindi in una maggiore incidenza di patologie legate all’alimentazione nelle fasce più povere.

Ma a che punto è l’inflazione in Italia? Gli ultimi dati definitivi pubblicati dall’Istat dicono che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, aumenta a febbraio dello 0,2 per cento rispetto a gennaio 2025 e dell’1,6 rispetto a febbraio 2024 (da più 1,5 per cento del mese precedente).

Il cosiddetto carrello della spesa sale da +1,7 a +2 per cento. Secondo i calcoli delle associazioni dei consumatori, un’inflazione pari a +1,6 per cento corrisponde a un aumento del costo della vita complessivamente di 578 euro su base annua per una coppia con due figli, di cui 219 euro in più per i prodotti alimentari, la spesa obbligata per definizione, e 239 euro per il carrello della spesa.

Stando a quanto rilevato dall’osservatorio nazionale di Federconsumatori, le famiglie fanno di conseguenza importanti rinunce, riducono il consumo di carne e pesce (-16,9 per cento) e di frutta e verdura (-2,4 per cento), cercano in modo sempre più assiduo offerte, sconti, acquisti prossimi alla scadenza, si rivolgono ai discount.

Gli interventi per mettere un freno a questo trend? La rimodulazione dell’Iva sui generi di largo consumo, che consentirebbe un risparmio di oltre 516 euro annui, la promessa riforma degli oneri di sistema sui beni energetici, la creazione di un fondo di contrasto alla povertà energetica e un’azione di contrasto alla povertà alimentare, lo stanziamento di maggiori risorse per la sanità pubblica, l’avvio di misure per riequilibrare le disuguaglianze esistenti, attraverso un rinnovo dei contratti, una giusta rivalutazione delle pensioni e una riforma fiscale equa, davvero tesa a sostenere i redditi medio-bassi.

Bruno Albertinelli

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