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Straordinaria Amministrazione | 17 febbraio 2025, 08:00

STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE

Autonomia nelle Terre Alte

STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE

Venerdì 14 febbraio al Ducale Lorenzo Dellai, invitato dall’amico Luigino Vallet, con la collaborazione di Autonomie biens communs, Fondation Chanoux, CSV e Comune di Aosta, ha parlato di autonomia come solidarietà, impreziosito dal contrappunto sagace di Robert Louvin e di Patrik Vesan.

Dellai ha tatuato sulla pelle questo tema, punto per punto, per una vita intera: prima da sindaco di Trento, poi da presidente della Provincia autonoma fino a deputato della Repubblica.

Questo incontro ha rivitalizzato alcune meditazioni già sfiorate in passato, ma ora più mature.

Abbiamo la necessità, oggi, di ricordare a noi stessi che la spinta forte e collettiva all’autogoverno tra i popoli delle terre alte non nasce dal possesso di ricchezze e privilegi, ma dalla povertà più nera, dalla malora che esorta le persone a intrecciare i loro destini tirando i fili stretti, dividendosi i compiti, affidandosi a capi branco nati per questo, in modo da sopravvivere all’avarizia della roccia sterile intorno, al freddo intenso che sospende le vite di tutti, per mesi.

Non si è diventati autonomi nelle terre alte per conquistare quelle basse, ma per darsi un aiuto tra compagni d’avventura restando custodi di bellezze estreme, da preservare e godere insieme: quelle degli orizzonti infiniti conquistati a fatica, dei profili di maestà austera e quelle nascoste tra i sassi, ora in forma di venature colorate di quarzo e fluorite, ora di fiori piccoli e accesi, accucciati tra seni spigolosi di calcescisti.

Il popolarismo che era innervato, nel dopoguerra, dalla speranza di riscatto da condizioni di povertà, dal desiderio di offrire ai propri figli condizioni di vita meno grame di quelle vissute dalla generazione delle guerre, ma anche ispirato da sinceri ideali di giustizia sociale e di una nuova fratellanza sapeva compattare le coscienze attorno a un credo. Non era solo un sentimento spontaneo tuttavia, perché  alimentato da occasioni di partecipazione democratica, da iniziative di alfabetizzazione politica oltre che culturale, c’era un impegno educativo che favoriva la maturazione delle coscienze individuali interconnesse con quelle collettive. Certo, non illudiamoci: le forme di condizionamento e di maggiore o minore coercizione erano forti tanto nelle cellule di partito quanto nelle parrocchie, ma nei contenziosi che si consumavano a tutti i livelli – dalle osterie ai palchi, dagli oratori alle aule parlamentari – tra seguaci di Don Camillo e quelli di Peppone ci si misurava per capire quanto ciò che si era appreso (o ci si era appiccicati addosso come carta moschicida) nelle scuole di politica reggeva ai colpi della dialettica avversa e si smussavano gli spigoli eccedenti a una parte e dall’altra, per poi mangiarci su tutti insieme, facendo festa senza muri, se mai lanciandosi qualche coccio aguzzo d’ironia.

Non si promuove l’autonomia dei popoli se il popolo è disperso, frantumato in migliaia di individualità che non si ritrovano in alcun sistema di idee, sogni, aspirazioni comuni ma sono pronte a seguire chimere in modo ondivago baluginate da rozzi imbonitori populisti. Le aggregazioni tra persone nascono e muoiono attorno a interessi temporanei spesso per ostilità e non per costruire insieme: oggi mi coalizzo perché sono contro una nuova autostrada, domani perché non mi voglio vaccinare, dopodomani per sostenere un cantante contro un altro al festival di Sanremo. Poi cerco alleanze dalla distanza: investo il mio tempo-vita immergendomi nei nuovi canali digitali di comunicazione e scambio, per allargare il mio spettro di conoscenze e coltivarlo nonostante le separazioni fisiche, ma ne accetto implicitamente la loro dematerializzazione e non mi accorgo che i canali sono tubi, non ti fanno guardare intorno durante il cammino.

Non regge più, d’altro canto, un’autonomia degli autoctoni contro i forestieri: sono sempre meno le famiglie che vantano radicali appartenenze a terre precise, così da considerare naturale una loro fusione carnale con le zolle calpestate, rivoltate e seminate e un loro dominio eterno.

Un’identità e una connessa volontà di mantenere un senso sostanziale di appartenenza, di legame non si conquista una volta per tutte, non si custodisce nella teca di un museo, ma va capita, amata e trasformata insieme al resto del mondo che, a sua volta, cambia proprio perché vivo…Persone nuove vanno accolte e fatte partecipi della storia e della cultura di un luogo e della gente che lo ha abitato e antropizzato, occorre offrire loro gli strumenti per potersi sincronizzare con il cuore pulsante di una natura unica ma anche con forme d’ingegno maturate nei secoli, con ruvidi e coraggiosi stili di vita ispirati da versanti ripidi, da ghiacciai insidiosi, dai fieni più profumati del mondo.

L’autonomia non è un arroccarsi tra i monti a celebrare antichi fasti perduti: è la diretta emanazione di un’energia unificatrice che oggi sa conservare le sensibilità di ciascuno, maturate attraverso scambi con altri popoli o amori tra persone d’altri continenti, ma disposte ad impastarsi con la terra che stanno calpestando insieme, per dare sostanza a una forma unica, distinta per compiutezza, non in opposizione ad altre forme, attraente perché insieme irripetibile e universale: come nell’alambicco di un alchimista è racchiuso il segreto della materia tutta, la composizione della pietra filosofale, così in un popolo coeso tra i lembi frastagliati di superfici rocciose e di verde vivo resta e lumeggia senza fine il distillato di un’anima del mondo.

Gianni Nuti

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