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CRONACA | 09 febbraio 2025, 18:10

Virginio Epis, una bella persona

Virginio Epis, dall’Everest al paradiso: morto il mito dell’alpinismo italiano. Originario di Oltre il Colle, si è spento a 93 anni all’ospedale di Aosta a causa di una polmonite. Nel 1973 partecipò alla leggendaria spedizione “Italian Everest”. Lunedì i funerali, il ricordo del Cai di Bergamo

Virginio Epis

Virginio Epis

"Un gentiluomo, un uomo d'altri tempi. Il ricordo di Carlo Gobbo, Capogruppo dell'Aosta, la grande famiglia di alpini alla quale apparteneva da sempre il Maresciallo Virginio Epis.

Un uomo delle istituzioni che, durante il suo servizio militare, ha saputo affascinare generazioni intere di futuri Quadri e Giovani Leve, raccontando le sue imprese ed insegnando loro che nulla è impossibile se credi fermamente in quello che fai."

Carlo Gobbo cn Virginio Epis

Era nato a Oltre il Colle, figlio di una generosa e forte terra bergamasca, amico da sempre di Mario Curnis con il quale aveva condiviso nel 1973 le pagine avventurose della spedizione Monzino all'Everest.

Alcuni anni fa  Virginio aveva voluto sfogliare con noi le pagine del suo diario, fino a quei giorni tenuto segreto, affidando ad Aleardo Ceol il compito di rileggere per l'Alpin Valdoten le vicende che hanno fatto del Maresciallo degli Alpini l'autentico eroe di quella ascensione".

La sua cronaca ci aiuta a rivivere le ore drammatiche del 7 maggio 1973, quando alle 5:30 del mattino la seconda cordata, composta da Benedetti, Sonam, Innamorati ed Epis, parte dal Campo 6 per il tentativo di vetta. Alle 13:15, i quattro sono in cima al Tetto del Mondo, dove si trattengono per mezz'ora. Poi inizia la discesa. Le prime difficoltà le incontrano all'Hillary Step. Dal diario di Epis: 'Benedetti e Sonam sono seduti, privi di forze, e non sono più in grado di muoversi.

"Il tempo muta improvvisamente, investendoci con vento, nebbia e nevischio. Con il mio compagno Innamorati, scendo subito fino alla Cima Sud dove ci sono delle bombole d'ossigeno, e in mezzo alla bufera ne prendo una. Innamorati è provato e non ce la fa a seguirmi. Salgo da solo. Benedetti, nel frattempo, è scivolato in una posizione insicura e potrebbe precipitare da un momento all'altro. Lo raggiungo e gli sostituisco la bombola. Si riprende subito, mentre Sonam è ancora inerte. Scendo di nuovo e ritorno a prendere un'altra bombola. Nei pressi di Cima Sud incontro Innamorati che sta salendo con l'ossigeno. La prendo io mentre lui ridiscende. Raggiungo Sonam e impiego tanto tempo a sbloccare l'erogatore dal ghiaccio, ma alla fine anche Sonam può riprendersi. Finalmente, alle 17:00 ci ritroviamo tutti sulla Cima Sud e, con enorme fatica, alle 20:00 arriviamo alle tendine del Campo 6.

Completamente sommerse dalla neve, sbrindellate, il pernottamento è infernale! 'Ho perso la maschera e sono senza ossigeno, ma comincio a massaggiare i piedi di Innamorati e, dopo due ore di intenso lavoro, il pericolo di congelamento è scongiurato".

L'8 maggio 1973, Epis scuote il gruppo: non è possibile rimanere a quota 8.580 metri, bisogna scendere. "Alle 14:30 arriviamo al Campo 5. I miei compagni sono stanchi e decido di scendere da solo al Campo 4. Durante la discesa incontro Stella, Tamagno e Lorenzi che erano partiti per venire in nostro soccorso. Io continuo a scendere".

Il resto è cronaca alpinistica. Il Vice Capo della spedizione, Piero Nava, dirà: "Benedetti, Innamorati e Sonam devono la loro salvezza ad Epis."

La sua abnegazione avrebbe potuto meritare riconoscimenti prestigiosi, ma Epis non si era mai sentito un eroe. Negli ultimi anni, negli incontri a Villa Brezzi, ne parlava spesso, sempre con umiltà. Gli piaceva ricordare di essere stato allora il quattordicesimo uomo a calpestare le nevi del Tetto del Mondo, ma del suo gesto diceva: 'In montagna ci si deve sempre aiutare e quel giorno io feci quello che era giusto fare per aiutare i miei compagni.

 

Carlo Gobbo

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