CULTURA - 25 gennaio 2025, 10:00

Il Papa sogna una comunicazione di speranza, 'fermiamo le guerre di parole'

Nel messaggio per la 59.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, reso noto il 24 gennaio nella memoria liturgica di San Francesco di Sales Francesco, patrono dei giornalisti e comunicatori, Francesco invita i professionisti dei media a prediligere un modo di comunicare e informare che “non venda illusioni o paure” ma sappia cercare e diffondere “storie intrise di bene” che rendano “il mondo meno sordo al grido degli ultimi”

Alessandro De Carolis -VN

Comunicatori miti in mezzo alle guerre fatte di parole, che non di rado accendono la miccia di guerre fatte di bombe e sangue. Donne e uomini simili ai cercatori di pepite, a caccia di “scintille del bene”, di storie che allargano il cuore e generano fraternità, mentre dissipano indifferenza, diffidenze, odio. In una parola, cronisti della speranza ovunque si annidi. Ecco il “sogno” del Papa per i professionisti dei media nell’anno del Giubileo.

Comunicazione che provoca ad arte

Francesco ne parla nel suo messaggio per la 59.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, reso noto oggi, 24 gennaio, giorno in cui la Chiesa ricorda San Francesco di Sales Francesco, patrono dei giornalisti e comunicatori. Un messaggio che parte da una disamina dei modi attuali di fare informazione spesso tutt’altro che creatrice di speranza. C’è una comunicazione, scrive, che genera “paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”. Che troppe volte “semplifica la realtà” riducendola a slogan “per suscitare reazioni istintive” o “usa la parola come una lama” arrivando a diffondere “informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”. Un modo di esprimersi, osserva ancora Francesco, che tradisce una comunicazione basata sull’aggressività dove, dai talk show alle “guerre verbali sui social media”, rischia di vedere ogni momento il prevalere del “paradigma della competizione, della contrapposizione” fino alla “manipolazione dell’opinione pubblica”.

“Compagni di strada” in un tempo travagliato

Di fronte a questo scenario che il Papa vede “segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione”, con “pochi centri di potere che controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti”, e inoltre caratterizzato, sottolinea, da una “dispersione programmata dell’attenzione” - causata dai sistemi digitali che ci profilano “secondo le logiche del mercato” e “modificano la nostra percezione della realtà” - è necessario, afferma con forza Francesco, sottrarsi alla logica di una comunicazione che ha bisogno di individuare e quindi scagliarsi contro un “nemico”. L’auspicio, anzi il “sogno” di Francesco, è invece quello di “una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle”, che riaccenda “in loro la speranza in un tempo così travagliato”. Che parli “al cuore” suscitando “non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate”.

Sì alla mitezza, no al “parlarsi addosso”

Il paradigma che ispira la visione del Papa, si legge nel messaggio, viene dalla prima lettera di Pietro, in cui l’apostolo invita i cristiani a essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Uno sprone nel quale Francesco individua tre messaggi tipici della comunicazione cristiana: saper “vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto”, saper riverberare la bellezza dell’amore di Dio e la sua novità, saper comunicare con “mitezza”. Sogno, soggiunge Francesco, “una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare”. Per fare ciò, indica il Papa, “dobbiamo guarire dalle ‘malattie’ del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso”.

Storie di speranza

E inquadrando la comunicazione ancor più nella dimensione giubilare, densa di “implicazioni sociali”, Francesco torna a suggerire il ricorso alle “storie intrise di speranza”, quelle “storie di bene” da “scoprire e raccontare” rintracciandole “fra le pieghe della cronaca”. “È bello - conclude - trovare questi semi di speranza e farli conoscere. Aiuta il mondo ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso”.