La notizia dell'esclusione di Tony Effe dal Concerto di Capodanno a Roma non è solo una questione di musica o di spettacolo, ma un segnale forte e necessario che non può essere ignorato. Non si tratta di censura, come alcuni potrebbero affermare, ma di una presa di posizione decisa di fronte a parole che non appartengono a un contesto artistico, ma che sfociano nel disgustoso, nel violento, nel maschilista. Non si tratta nemmeno di un errore, come qualcuno potrebbe pensare, quello di averlo ingaggiato per un evento che avrebbe dovuto celebrare l’arte, la cultura e il rispetto. Tony Effe, infatti, ha dimostrato più volte, anche attraverso i suoi testi, che la sua “arte” non è quella che ci si aspetta da un artista che dovrebbe essere un esempio positivo, soprattutto per i giovani.
Le parole delle sue canzoni, come quelle del brano "Primo bacio, primo trip, caramelle nel suo drink", sono lontane anni luce dal concetto di arte. Quel verso, che fa riferimento all’insidiosa e crudele pratica di drogare le ragazze per stuprarle, non è solo un atto di cattivo gusto: è un atto di incitazione alla violenza. Non si può girare la testa di fronte a frasi come «Martina o Vanessa? Non mi ricordo, mi gira la testa. La porto a casa, le faccio la festa», che rivelano un atteggiamento di totale disprezzo verso le donne, trattate come oggetti da usare e scartare.
Non si può e non si deve tollerare che questi testi siano considerati come “arte”, perché l’arte è un’espressione che dovrebbe suscitare riflessione, emozioni profonde, non violenza e prevaricazione. È inaccettabile che un cantante di successo, che ha una platea di giovani che lo seguono e lo ascoltano, continui a veicolare messaggi che minimizzano la violenza di genere, l’umiliazione, il disprezzo nei confronti delle donne.
Eppure, Tony Effe non è solo un caso isolato. In “Dopo le 4”, canta: «Ti sputo in faccia solo per condire il sesso, ti chiamo “puttana” solo perché me l’hai chiesto, ti sbavo il trucco, che senza stai pure meglio», un altro esempio di linguaggio aggressivo e sessista. La stessa mancanza di rispetto per la dignità della donna si riflette anche in “Miu Miu”, dove canta: «Prendo una bitch, diventa principessa, le ho messo un culo nuovo, le ho comprato una sesta». Queste non sono frasi da considerare come parte di un percorso artistico. Sono frasi da condannare senza appello.
Eppure, la cosa che più turba non è solo la natura violenta di questi testi, ma l’indifferenza che questi messaggi suscitano in troppe persone. Quante donne stanno ascoltando queste canzoni senza che ci sia un serio dibattito su ciò che davvero implicano? Quante ragazze crescono con l’idea che certe frasi, e quindi certi comportamenti, siano tollerabili? E quante, purtroppo, potrebbero addirittura giustificarli, normalizzando quella violenza che si nasconde dietro il velo della “musica” e della “provocazione”?
Immaginate per un attimo un uomo in un contesto professionale che rivolgesse frasi simili a una collega. Che succederebbe? Sarebbe immediatamente denunciato, sarebbe licenziato, sarebbe tacciato di molestie, se non peggio. E allora perché, nel mondo della musica, si dovrebbe fare finta di niente quando un artista usa parole che incitano al disprezzo e alla violenza? La cultura non è esente da responsabilità. Un concerto di Capodanno, un evento pubblico di rilievo, non può essere la vetrina per chi usa il linguaggio come strumento di sopraffazione.
L'esclusione di Tony Effe, seppur tardiva, è un passo importante. Un atto di responsabilità che deve servire da monito per tutti coloro che nel mondo della musica, della cultura, e dello spettacolo, hanno il dovere di influenzare le menti dei giovani in modo positivo. Non si tratta di censurare, ma di fare in modo che l'arte non diventi mai complice della violenza, che la musica non si trasformi in uno strumento di oppressione. È ora di dire basta a chi usa il suo talento per offendere, per minare la dignità, per insegnare che la violenza sulle donne può essere normalizzata, per quanto velata da parole che si mascherano dietro il concetto di "provocazione".
Questo è il momento di un cambiamento. Un cambiamento che deve partire da un rifiuto netto di tutto ciò che incita alla violenza. Perché la musica, come ogni altra forma di espressione, dovrebbe essere un veicolo di amore, di rispetto, di crescita, non un’arma per perpetuare la discriminazione.