Il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha sottolineato come:
“Occuparsi di salute richiede un approccio olistico, intersettoriale, dinamico, nazionale e internazionale, ma richiede anche la capacità di calarsi, di volta in volta, in precise aree disciplinari o problematiche specifiche, al fine di osservarle, analizzarle e formulare osservazioni e proposte”.
Il personale è stato uno degli aspetti principali delle politiche di contenimento e riduzione della spesa pubblica destinata alla sanità. Ciò ha contribuito all’esplosione di problemi legati alla disaffezione dei dipendenti e soprattutto allo svuotamento di valore e di significato del lavoro nel e per il Servizio Sanitario Nazionale. Il blocco del turnover, e dunque la carenza cronica di personale all’interno delle strutture sanitarie, da decenni costringe gli operatori a sforzi prolungati, continui e ad alto coinvolgimento fisico e psicologico. Una survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri porta alla luce come un medico su due sia in burnout (52%), e per gli infermieri poco meno di uno su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permangono difficoltà di conciliazione lavoro-vita familiare.
Ad incrementare il disagio vissuto dal personale sanitario vi è poi l’aumento dell’aggressività dell’utenza, sempre più frequentemente responsabile di episodi di violenza, con circa 18.000 operatori coinvolti. A segnalare i 2/3 delle aggressioni sono professioniste donne; la professione più colpita è quella infermieristica, seguita da medici e operatori sociosanitari. I setting più a rischio sono i Pronto Soccorso e le Aree di Degenza, e gli aggressori sono principalmente gli utenti/pazienti.
Questi fattori hanno concorso a ridurre l’attrattività del SSN, rendendo oltremodo difficile reclutare nuovi operatori e trattenere quelli già in servizio. Chi lascia il SSN va all’estero o nel privato, alla ricerca di orari più flessibili, maggiore autonomia professionale e minore burocrazia.
In un confronto con i paesi dell’area OCSE, emerge che il reddito annuale dei medici specialisti in Italia risulta di quasi il 22% più basso della media, con penalizzazioni molto forti rispetto a Svizzera, Olanda, Germania, Irlanda e rilevanti anche con Danimarca e Regno Unito. Anche per il reddito medio annuale degli infermieri ospedalieri, l’Italia si colloca oltre il 22% al di sotto della media OCSE. Abbiamo 1,8 medici ogni mille abitanti, con un’età media di 50,5 anni, dove la classe di età compresa tra 60 e 64 anni è ancora la più numerosa. Per il personale infermieristico, invece, l’età media è pari a 46,9 anni, con rapporto rispetto alla popolazione residente di 4,71 per mille, che sale al 5,04 se si considerano anche gli ospedali equiparati al pubblico.
La presenza femminile in sanità è cresciuta costantemente negli anni, al punto che due terzi dei lavoratori del settore oggi sono donne. A dicembre 2021, sono 450.066 le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del SSN, un trend che risulta in crescita costante negli ultimi anni. Più di un medico su due è donna (51,3%), una percentuale destinata a crescere, considerata la prevalenza femminile nelle classi di età più giovani. Tuttavia, le posizioni dirigenziali e apicali sono ancora prevalentemente occupate da uomini; e il lavoro su turni, le difficoltà organizzative e la carenza di servizi di conciliazione vita-lavoro gravano particolarmente sulle professioniste.
L’intelligenza artificiale promette di rivoluzionare il sistema sanitario, moltiplicando le possibilità di cura e ridefinendo tutte le dimensioni relazionali di cui esso si compone: professionista sanitario-paziente, professionista sanitario-struttura, paziente-struttura sanitaria. Ma l’incertezza normativa costituisce un ostacolo molto rilevante alla diffusione dell’IA. L’AI Act dell’Ue individua proprio nella salute uno degli interessi primari da tutelare. Sul fronte dell’attività clinica, invece, rilevanti implicazioni deriveranno dall’aver incluso tra i sistemi ad alto rischio i software as medical device (SAMD), vale a dire i software impiegati nell’ambito dell’attività sanitaria. La particolare cautela nell’uso dei dati vale ovviamente ancora di più in ambito sanitario per la natura dei dati prodotti, conservati, trasmessi e processati.
In Italia è in esame un DDL che riconosce l’utilizzo di sistemi di Intelligenza Artificiale in ambito sanitario, purché ciò avvenga nel rispetto dei diritti, delle libertà e degli interessi della persona, anche in materia di protezione dei dati personali, l’aspetto forse più complesso e che coinvolge la comunicazione tra medico e paziente.