Nella nostra Petite Patrie, come in molte altre regioni italiane, l'arroganza e la supponenza di politici e amministratori sembrano non avere limiti. Le lettere dei lettori, quelle voci di chi prova a portare attenzione su temi urgenti o denuncia disservizi e ingiustizie, vengono ignorate con un disinteresse che, ormai, non sorprende più. Le risposte alle denunce pubblicate sui giornali sono rare, se non nulle. Le critiche che emergono da articoli e interventi dei cittadini non trovano mai un riscontro, e l’impressione che si ha è che tutto rimanga lettera morta.
La cosa più grave, però, è che da parte di chi gestisce la cosa pubblica non mancano mai i "consigli", che, piuttosto che aprire un dialogo costruttivo, sembrano voler zittire chi prova a far sentire la propria voce. Questi suggerimenti, spesso velati di condiscendenza e lontani da qualsiasi intenzione di confronto serio, vanno ben oltre la normale dialettica tra informazione e decisori pubblici.
Le risposte istituzionali non sono più un invito al dialogo, ma una forma di silenzio disarmante che punta a smorzare ogni spirito critico. In questo contesto, parlare di mafia o di corruzione sembra essere diventato un tabù, non tanto per ragioni legali, quanto per una volontà politica di ignorare o sminuire qualsiasi accusa. I consigli che vengono offerti a chi osa sollevare il velo, pertanto, hanno più il sapore di un invito a tacere che di un'opportunità per un vero scambio di idee.
Questa situazione non è una peculiarità della Valle d'Aosta. A livello nazionale, il quadro della libertà di stampa e di opinione non è certo migliore. Negli ultimi anni, l'Italia ha visto un progressivo indebolimento dei diritti di informazione, e non solo per quanto riguarda i giornalisti. Anche i cittadini che si esprimono sui social media o attraverso lettere aperte si trovano a fronteggiare una crescente disinformazione e un'attenzione sempre più scarsa da parte delle istituzioni.
La cronaca quotidiana è spesso inondata da dispendiosi battibecchi politici, ma il vero dibattito, quello che riguarda le questioni cruciali della giustizia sociale, dei diritti civili e della lotta alla corruzione, sembra essere relegato in un angolo oscuro, lontano dai riflettori della politica nazionale.
Ciò che preoccupa maggiormente è la visibile frattura tra la politica e l'informazione, che non si risolve in semplici polemiche ma minaccia di erodere, lentamente, le fondamenta della democrazia. L'assenza di una vera dialettica tra governanti e cittadini non solo indebolisce la qualità del dibattito pubblico, ma rischia di trasformare la libertà di stampa in un lusso che pochi possono permettersi, anziché un diritto inalienabile di ogni individuo.
In un paese come l'Italia, con una storia ricca di lotte per la libertà e la giustizia, sembra che si stia progressivamente rinunciando a quello che dovrebbe essere il fondamento di una società democratica: la possibilità di esprimere liberamente un'opinione, senza paura di ripercussioni o consigli condiscendenti.
In questo contesto, si fa sempre più urgente riflettere su come tutelare e difendere la libertà di opinione e di stampa. La crescente cultura del silenzio non può e non deve essere tollerata. Non possiamo permetterci che il "consiglio" di tacere diventi la risposta prevalente delle istituzioni alla critica e alla denuncia. La libertà di informare, di denunciare, di esprimere opinioni senza paura, è un diritto che va custodito con fermezza. La nostra democrazia ne dipende.
La libertà di opinione non è solo una questione di diritti individuali, ma di futuro collettivo. Se non ci battiamo per difenderla oggi, rischiamo di trovarci senza una vera voce domani.
Les valdôtains doivent méditer