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FEDE E RELIGIONI | 05 novembre 2024, 08:00

PAPA: seminare speranza tra rifugiati, migranti e vittime di guerra. Nel povero c'è Cristo

Nell’udienza ai partecipanti al terzo incontro di “Chiese ospedali da campo”, in corso a Roma, Francesco li ringrazia per l’impegno accanto ai più vulnerabili. E sottolinea che anche i poveri annunciano Cristo accogliendo i migranti musulmani, e tutti, anche gli atei e i fedeli di altre religioni, possono servire i poveri e in loro Gesù. "La vera evangelizzazione - spiega - è nell'impegno cristiano con i più bisognosi"

PAPA: seminare speranza tra rifugiati, migranti e vittime di guerra. Nel povero c'è Cristo

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Assistere i vulnerabili “è sempre un privilegio”, l’opportunità “di toccare la carne di Cristo”, e permette di portare il Vangelo “nell’impegno cristiano con i più bisognosi”. Lo sottolinea Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti al terzo incontro di Iglesias Hospital de Campaña (Chiese ospedale da campo), promosso dall’associazione Mensajeros de la Paz di padre Ángel García Rodríguez. Incontrandoli nella Sala del Concistoro, ricorda che i tre principi perché le chiese siano come un ospedale da campo sono “annunciare Cristo”, “riparare le disuguaglianze” e “seminare speranza”. Anche perché, aggiunge “a braccio”, raccontando con tristezza di un sacerdote contento di avere 1200 fedeli alle Messe in un quartiere di 250 mila abitanti.

Dobbiamo essere consapevoli che poche persone vengono in Chiesa, e “dobbiamo andare a cercarle”

LEGGI QUI IL DISCORSO INTEGRALE DEL PAPA

Anche i poveri annunciano Cristo accogliendo i migranti

Per prima cosa, in spagnolo, il Papa spiega che, per annunciare Cristo “come colui che cammina sempre” con i più vulnerabili, visto che per primo “si è fatto povero”, è fondamentale “dare testimonianza di accoglienza verso questi fratelli più con i gesti che con le parole” e “andare a visitarli”, continuando “a vedere in ognuno di loro, il volto di Cristo”.  

A me fanno bene gli aneddoti di persone povere in Spagna, nel sud Italia, che annunciano Cristo come meglio possono in mezzo all'immigrazione musulmana, per esempio. E lo annunciano con i gesti, con l'accoglienza, con l'accompagnamento, con la promozione del migrante

Il Papa al suo ingresso nella Sala del Concistoro

Gli immigrati sono i figli che non vogliamo avere

E qui, lasciando ancora il discorso preparato, Francesco insiste sull’importanza di accogliere Cristo nei poveri e nei migranti.

Sottolineo i migranti perché in Italia come in Spagna è una delle realtà - non voglio dire un problema - una delle realtà, no? E, d'altra parte, ringraziamo il fatto che arrivino i migranti perché il livello di età che abbiamo è un po' scandaloso. Credo che l'età media in Italia sia di 46 anni. Non hanno figli. Oh, sì, hanno tutti un cane o un gatto, ma non hanno figli. E arrivano gli immigrati e, in un certo senso, sono i figli che non vogliamo avere. Pensateci un po'.

Riparare le disuguaglianze tra ricchi e poveri

Occorre poi, prosegue il Pontefice, “ristabilire il tessuto sociale riparando le disuguaglianze”. Perché “nessuno può restare indifferente di fronte alla sofferenza degli altri”.

Con il vostro apostolato denunciate alla società che la disuguaglianza tra ricchi e poveri, a volte tanto grande, non è ciò che Dio vuole per l’umanità e, in giustizia, queste disuguaglianze devono essere risolte.

Le disuguaglianze con i bambini sfruttati e gli anziani scartati

Lasciando ancora il testo scritto, il Pontefice sottolinea anche “le disuguaglianze che esistono con i bambini e con gli anziani”.

Quando le persone anziane vengono scartate, mandate nei quartieri d'inverno come se non avessero nulla da apportare alla società in questo momento. E pensiamo ai bambini, quando vengono usati per certi lavori e poi abbandonati. Ci sono bambini che vengono utilizzati per andare a raccogliere oggetti nelle discariche che poi possono essere venduti. In un Paese dove c'è un frutto molto delicato, il mirtillo, che richiede molta delicatezza per essere raccolto, si usano bambini affamati per raccogliere il mirtillo e sfruttarli

“Una domanda che dobbiamo porci: che ne è dei bambini, che ne è degli anziani? Gli anziani sono una fonte di saggezza e stiamo assistendo allo scandalo di tenerli nel guardaroba di una casa di riposo”

Grazie per seminare speranza tra chi fugge dalla guerra

Infine, il Pontefice ribadisce che è necessario seminare speranza “in ogni persona che accogliete, perché non ha una casa, perché è un rifugiato, perché è parte di una famiglia in stato di vulnerabilità, perché è vittima della guerra”, o per qualsiasi altro motivo che la rende emarginata. E qui “a braccio” ringrazia pubblicamente tutti i partecipanti all’incontro per il loro lavoro

È vero che siete un po' audaci e osate, non tutti lo sono, ma quello che fate ispira gli altri, ispira tanto, i rifugiati, andare a cercarli, andare a trovarli, i soldati ucraini feriti in guerra. Seminare speranza per quelle persone, giusto? I rifugiati. La guerra è una cosa molto dura, molto dura. È una realtà che uccide, distrugge, prendersi cura di queste persone. Una cosa che vedo quando arrivano gruppi di bambini ucraini deportati qui: non sorridono. La guerra li ha privati del sorriso. Ecco perché tutto il lavoro che fate con i rifugiati è così importante.

Toccare nei poveri la carne di Cristo

E ricorda che l'Antico Testamento chiede sempre di avere cura “della vedova, dell'orfano e dello straniero, il migrante, il rifugiato”. “In ogni persona che accogliete – aggiunge - in ogni persona che è vulnerabile, seminate speranza”.

Sebbene questi nostri fratelli spesso si sentano oppressi di fronte a un panorama che potrebbe sembrare un “vicolo cieco”, ricordate loro che la speranza cristiana è più grande di qualsiasi situazione, anche se non è facile dirlo a un ferito di guerra, ma va detto, perché ha il suo fondamento in Dio e non nell’uomo. L'ottimismo è una cosa, che va bene, ma la speranza è un'altra. Totalmente diversa.

E l’invito finale di Papa Francesco a chi si impegna nella Chiesa a favore dei più vulnerabili, è di non smettere mai di scoprire che si tratta di un privilegio, “perché di essi è il Regno dei Cieli”.

“Ogni volta che abbiamo l’occasione di avvicinarci a loro e di offrire loro il nostro aiuto, è per noi un’opportunità di toccare la carne di Cristo, perché portare il Vangelo non è una cosa astratta, un’ideologia, che se si riduce a un indottrinamento. No, non si tratta di questo, ma di rendere concreto il Vangelo, nell’impegno cristiano con i più bisognosi; lì sta la vera evangelizzazione”

Anche gli atei possono servire Gesù nei poveri

Continuate, è il suo saluto, “a trasmettere speranza, misericordia e amore ad altre persone” in modo che, “convinte di questa verità, possano unirsi per collaborare nel servizio ai più poveri”. Per chiarire meglio quello che vuol dire, il Papa aggiunge “a braccio”:

“Ah, Padre, dobbiamo forse battezzarli prima che vengano a collaborare al servizio dei più poveri, o dobbiamo mandarli a confessarsi perché siano in grazia di Dio? No. Chiunque, ateo, non ateo, chiunque, di questa o dell'altra religione. Servire, e servire i più poveri. Tra i più poveri c'è Gesù. Servono Gesù anche se non credono in Lui. Tutti, tutti, tutti, tutti nel sacco del servizio, tutti nel sacco dell'impegno per gli altri.

Il terzo incontro delle “Chiese ospedali da campo”

Il terzo incontro delle “Chiese ospedali da campo” ha preso il via questa domenica a Roma presso la Casa San Giovanni d'Avila, riunendo una cinquantina di persone provenienti da diverse associazioni dalla Spagna (Madrid e Barcellona), Italia, Giordania, Messico e Argentina. Il tema è “Chiesa sinodale e Chiese ospedali da campo al servizio dell'umanità”. Gli altri incontri sono stati organizzati a Madrid e Barcellona. Tra i primi promotori l’Asociación Mensajeros de la Paz (Associazione Messaggeri di Pace), fondata da Padre Ángel García Rodríguez (che oggi ha 87 anni) nel 1962, un'organizzazione non governativa internazionale, con sede a Madrid, in Spagna, che opera in più di 50 Paesi a favore della promozione umana e sociale dei gruppi più svantaggiati della società, adattandosi alle diverse realtà sociali.

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