Camminar pensando - 03 novembre 2024, 08:30

LA LETTERA - Capitolo DUE

Riassunto del capitolo UNO: Quando Jacopo mi venne a trovare, mi raccontò di una strana avventura che gli era occorsa in Val Grande: in un luogo impervio, Jacopo incontra un personaggio bizzarro che gli consegna una lettera, pregandolo di spedirla

Torrente in Val Grande (ph. F. Ravezzani)

Jacopo mi dice poi di quando, giunto a casa, racconta alla sua signora Adalgisa l’esperienza e, quasi con sacralità, estrae la lettera dallo zaino, la posa sul tavolo e si mettono ad osservarla. È una busta bianca di formato commerciale, regolarmente affrancata con bolli italiani. È indirizzata a un certo Gunter tal dei tali di Coira. Si chiedono chi potrebbe essere questo destinatario: un fratello, il papà, un amico… Sul retro non c’è traccia del mittente, ma al suo posto, a mo’ di sigillo delle falde della busta, è riprodotto un disegno che, dopo una breve consultazione di Internet, decodificano nella Fenice, l’animale mitologico che risorge dalle proprie ceneri. Lo stesso animale che Jacopo aveva visto tatuato sul petto glabro del ragazzo. Jacopo inizia a fantasticare sul tipo appena incontrato laggiù ad Orfalecchio: un filosofo, un eremita, un sacerdote in anno sabbatico, un fuggiasco, un serial killer pentito?

Tanta era la voglia di aprire la busta, con tutti i crismi e le accortezze del caso: col vapore, con un sottile taglierino. L’enormità della stranezza accadutagli metteva Jacopo nello stato d'animo di pensare e fare cose altrettanto strane, che proprio lui, uomo sentimentale certo, ma anche razionale come le api gli avevano insegnato, non avrebbe mai pensato e mai si sarebbe sognato di fare. E l'avrebbe aperta quella busta se non fosse stata la sua Adalgisa e, soprattutto, quel sigillo disegnato sui lembi a sconsigliarlo di violare l'intimità di quello sconosciuto.

E tocca ancora alla sua signora tenerlo coi piedi per terra: sarà stato uno dei soliti escursionisti estremi che, in luogo della tecnologia dei blog, dei selfie, etc., usa ancora comunicare con la carta. Tutto qui. Jacopo concorda, posa la lettera sullo svuota-tasche e si mettono a tavola. Domani la spedirà.

Il giorno dopo, di mattino presto, Jacopo si reca all’ufficio postale e imbuca la lettera. La voglia di ritornare in Val Grande a rincontrare quel personaggio è tanta. Ma oggi piove e farlo, di “entrare in Val Grande”, s’intende, è un azzardo che non vale la pena giocare. E poi sarebbe bello comunicare almeno qualche parola con il misterioso biondo del torrente. Strada facendo, incontra un suo amico al quale racconta con fervore dell’incontro di ieri. Questo suo amico, tale Furio di Verbania, oltre ad essere anch’egli un grande camminatore della Val Grande, conosce anche molto bene il tedesco. Per Jacopo è un’illuminazione.

L'incontro casuale con Furio è di quelli che lasciano di stucco, nel senso che sembrano ordinati da qualche entità superiore o sovrannaturale, o meglio da uno di quegli Elohim che tutto sanno e che tutto possono. Questo Furio è stato docente di lingue al liceo di Verbania e, tra quelle che insegnava, la più amata era proprio il tedesco. Da anni Jacopo non vedeva Furio. Le loro vite avevano seguito percorsi diversi, sebbene per molto tempo i loro sentieri fossero stati proprio quelli della Val Grande, che da giovani, quando ancora non si parlava di wilderness, di parco, etc., etc., avevano calcato assieme, trascorrendo "dentro la Val Grande" intere notti senza telefonini, senza GPS. Ed ora, proprio quando ieri sera Jacopo si era rammaricato con la sua signora di non saper spiccicare neanche una parola di tedesco, ecco materializzarsi davanti a lui quel vecchio compagno di avventure che era Furio: non poteva concretizzarsi coincidenza più curiosa.

Ambiente selvaggio verso Corte Buè (ph. F. Ravezzani)

Si mettono d’accordo per l’indomani: se la pioggia cessasse, con le dovute cautele, andranno in Val Grande a cercare l’uomo della Fenice.

Il giorno dopo piove ancora, ma il mattino successivo si presenta radioso. In breve, i due amici si ritrovano al Ponte Casletto e si inoltrano verso Orfalecchio. Di acqua ce n'è ancora tanta, ma con qualche peripezia e una dose di fortuna che là dentro non deve mai mancare, giungono all' “ansa del tedesco”, come hanno battezzato quel luogo.

Jacopo e Furio scendono con cautela all’ansa. Nessun fischio e nessuna traccia di presenza umana li accoglie. Furio sorride beffardamente. Jacopo gironzola sul breve spiazzo erboso, domandandosi come sia possibile che non si trovi la minima traccia di un passaggio. Un ramo spezzato, dell’erba piegata, qualche traccia di calpestio. Ed anche la tenda, almeno la tenda, avrebbe dovuto lasciare un segno di presenza. Erano passate solo quarantotto ore dall’avvistamento. Furio consola Jacopo, che si spertica a raccontare all’amico i dettagli dell’incontro, temendo che Furio dubitasse della sua lucidità (e non solo Furio potrebbe dubitarlo, ovviamente). I due amici se ne fanno una ragione e, un po' mestamente, ritornano sui loro passi fino all’automobile che li attende nel minuscolo spiazzo a quasi un chilometro dal Ponte Casletto.

A casa, Jacopo racconta ad Adalgisa l’esito della gita con Furio, alimentando una nuova spirale di fantasie: e se quel biondo non fosse mai esistito? No, si dice, non può essere, dato che ho personalmente imbucato la lettera che ho preso personalmente dalle sue mani. E se avesse ragione Metastasio a dire sulla Fenice: “…che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”? SEGUE

Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano