Camminar pensando - 27 ottobre 2024, 08:00

LA LETTERA Capitolo UNO

Mi venne a trovare una domenica di fine aprile. Faceva freddo e pioveva ad intermittenza. In veranda, al tepore della stufa e riscaldati da una tisana balsamica passammo un paio d’ore in piacevole conversazione...

La Val Grande (ph. Mauro Carlesso)

Non ci vedevamo da parecchi anni. Jacopo, storico apicultore valgrandino lo conobbi da giovane quando preso dal trip di mettere su un alveare lo visitai per qualche tempo senza ottenere risultati proficui per via della mia inettitudine. Qualche altro incontro, alle volte casuale alle volte cercato ma niente di più. Quella domenica tuttavia l’incontro con Jacopo si rivelò oltremodo interessante per la curiosa storia che mi raccontò.

Questo Jacopo, come detto grande esperto di api è anche un grande conoscitore degli angoli più reconditi della Val Grande ovvero di quel territorio noto come la più vasta area wilderness delle Alpi e Parco Nazionale da oltre trent’anni. E siccome conoscere un territorio montano così complesso, difficile e pericoloso è un merito che non tutti possono avere, ascoltare Jacopo è per me sempre gratificante.

Tra una chiacchiera e l’altra, forse anche per vantarmi un po' di sapere anch’io qualcosa di quella valle (cosa che è vera neppure per il dieci percento della conoscenza che ha Jacopo), gli dissi che avevo appena terminato di leggere un’interessante biografia sul Gianfry, l’eremita scalzo della Val Grande. Con mia grande sorpresa Jacopo mi disse che questo personaggio quasi leggendario, lo aveva conosciuto personalmente ed anche frequentato per via di alcuni lavori che aveva eseguito al corte di Velina, una delle eremitiche roccaforti di Gianfry.

Rimasi sorpreso. Di questo tizio ne avevo sentito parlare ai tempi in cui era vivo e l’attrazione di “entrare in Val Grande” per incontrarlo mi stimolò per parecchi anni senza mai tuttavia riuscire a soddisfarne il desiderio. Mi accontentai così di leggere una delle tante biografie, che insieme a svariati articoli dei giornali locali hanno tracciato la vita incredibile, se non addirittura incomprensibile di questo autista di scuolabus di Sesto Calende finito a vivere per una quindicina d’anni solitario e ramingo tra le creste ed i dirupi di quel mondo ostile che è proprio la Val Grande. Gli raccontai così delle intense impressioni che l’autore del libro mi lasciò riguardo a questo personaggio e mi sorprese Jacopo quando del Gianfry mi tracciò un quadro assai meno edulcorato dalla retorica letteraria che lo dipingeva come una sorta di eroe, immagine che anch’io avevo assorbito. Jacopo mi parlò invece di un Gianfry che fisicamente soffriva molto, che viveva allo sbando, oggetto anche di scherno da parte degli escursionisti che lo incontravano e persino della Forestale che presidiando il territorio del Parco avevano con lui contatti frequenti.

Ma terminato il discorso sul Gianfry, Jacopo mi parla di una storia assai più intrigante. Attacca a raccontare che un giorno in cui voleva estraniarsi dal lavoro con le api, con le quali il giorno prima aveva avuto alcuni problemi, di buonora e senza far troppi preamboli si carica sulle spalle lo zaino sempre pronto e si avvia “dentro la Val Grande”.

Cascata rio Pogallo in Val Grande (ph.F.Ravezzani) 

Era un venerdì di metà estate ed i torrenti, che sono spesso la causa di dietro front se non addirittura di seri incidenti, erano nella loro condizione migliore per essere guadati.

Mi racconta che nel punto più problematico dell’intera gita, un sentiero a mezza costa su terreno ripido e viscido sopra il torrente nei pressi di Orfalecchio, sente un fischio che lo fa trasalire. Il fischio risuona di nuovo e guardando nella direzione del suono scorge tra il folto intreccio di vegetazione una persona intenta a battere dei panni sulla riva del torrente qualche metro più in basso e che lo richiama anche con gesti del braccio. Jacopo allora lascia il sentiero (termine eccessivo per definire quel tratto) e raggiunge l’uomo.

È un giovanotto fisicamente prestante, a petto nudo sul quale è tatuato un ghirigoro rosso dalle sembianze di un uccello ed una folta chioma di capelli arruffati, quasi annodati come la boscaglia lì intorno. Parla tedesco ed i modi sono gioviali ed accoglienti.

Jacopo si scusa come può per non parlare la sua lingua ma il teutonico insiste nel farlo accomodare su una pietra piana che funge da tavolo e sedile e gli offre una tisana. Mentre sorseggiano la bevanda in una tazza da condividere Jacopo osserva la piccola tenda ed il capiente zaino gettato a terra sul prato ad asciugare con tutte le carabattole e gli indumenti sparsi qua e là.

Vicino a loro un fornelletto alimentato ancora a butano e altri indumenti letteralmente a mollo in una pozza di acqua calma del torrente. Jacopo avverte una strana sensazione che si alterna tra la sorpresa (che ci fa in quel posto dimenticato da Dio un biondo riccioluto solitario?), la preoccupazione, l’imbarazzo di non riuscire a capire cosa gli volesse comunicare ma anche il piacere che la sua amata Val Grande gli riserva con la magia di simili incontri ai limiti della realtà. 

E cosa non sorprende di più Jacopo quando nella fase del commiato il tedesco si infila nella tendina uscendone con in mano una busta bianca. In qualche maniera si intendono e Jacopo si ritrova emissario di una lettera che dovrà provvedere ad impostare il prima possibile.

Riposta la missiva nello zaino Jacopo risale il pendio riprendendo la strada di casa (anche qui il termine strada è fuori luogo). Di proseguire per quel giorno non se ne parla: è venuto troppo tardi e farsi sorprendere dal buio in Val Grande è un atto di eroismo che non vale la pena di compiere. - SEGUE

Mauro Carlesso Scrittore e camminatore vegano