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SANITÀ, SALUTE E STARE BENE | 19 agosto 2024, 17:32

Fondazione promozione sociale onlus contesta dati ASL Città di Torino

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Fondazione promozione sociale onlus contesta dati ASL Città di Torino

CONVENZIONI RSA: I DATI DELL’ASL CITTÀ DI TORINO NON CONVINCONO E SONO INCOMPLETI

Il fenomeno “non autosufficienza” cresce, la risposta non allo stesso livello.
Le risorse per le quote sanitarie sono bloccate per delibera regionale al livello di spesa del 2019. Come fanno ad aumentare?

In questi giorni, in risposta al fenomeno di abbandono terapeutico di migliaia di anziani malati ai quali le Asl non riconoscono le quote sanitarie in Rsa denunciato dalla Fondazione promozione sociale onlus, i mezzi di informazione riportano i “dati” dell’Asl Città di Torino che segnalerebbero un grande e crescente impegno delle Unità di valutazione geriatrica che garantiscono un aumento delle valutazioni geriatriche e delle prese in carico dei malati.

Due considerazioni e qualche precisazione sono d’obbligo, visto che, invece, la Fondazione promozione sociale onlus registra un disagio fortissimo tra le famiglie, rischi di impoverimento sempre più marcati anche tra le famiglie benestanti fiaccate da anni di pagamento di rette totalmente private, nonché un peggioramento drastico dei tempi di riconoscimento delle convenzioni (sono le stesse Uvg a confermare che i casi “non urgenti”, per i quali la vigente e contestata delibera del 2012 sulla residenzialità prevede convenzione entro un anno, non la ricevono prima dei 18 mesi/2 anni).

Prima considerazione: il fenomeno “non autosufficienza” cresce più della risposta, quindi il risultato è un calo di prestazioni, non un aumento. Il fenomeno dei ricoveri in Rsa sta subendo di mese in mese impennate drastiche. Aumentano i posti letto (ma aumentano quelli privati, non quelli in convenzione); in base alla delibera 10 del 2022 si è ormai affermato il sistema di dimissione precocissima da ospedale a Rsa, che riempie le strutture costantemente ma con ricoveri che durano al massimo due mesi, dopo i quali si prosegue con contratto privato a 3mila euro al mese; nelle cure domiciliari di lungo periodo, l’assegno di cura che sosteneva il famigliare accuditore non viene più erogato costringendo le famiglie a rinunciare all’opzione delle cure a casa (che pure preferiscono, ma sono tutte sulle loro spalle) e optare per il ricovero. A fronte di questo, i “progressi” delle Uvg sono solo sulla carta. La sofferenza dei malati non autosufficienti e delle loro famiglie è massima e l’intervento pubblico dà risposte molto al di sotto della sufficienza.

Seconda considerazione. I soldi sono sempre gli stessi, come fanno ad aumentare le convenzioni? Le dichiarazioni di presunti “aumenti” delle prese in carico vanno messe a confronto con la realtà. Secondo: la delibera 10 (la stessa che autorizza “cure a tempo” in Rsa permettendo i trasferimenti lampo dagli ospedali) ha fissato un massimale regionale per le convenzioni in Rsa (quote sanitarie), che è la spesa sanitaria per convenzioni raggiunta nel 2019. Com’è possibile, con gli stessi soldi, fare più prese in carico? Considerando, tra l’altro, che gli aumenti garantiti ai gestori “pescano” da questo stesso fondo e non sono risorse in più, e che l’aumento generale delle tariffe deciso a settembre 2022 con la delibera n. 1-5575 della Regione “pesca” nelle stesse risorse, con il risultato che a budget invariato ci sono meno convenzioni singole (perché la singola convenzione “costa” di più).

Per una valutazione oggettiva e completa della situazione, occorre tenere presente alcuni fattori:

1) nei dati comunicati, l’Asl mai precisa quanto tempo hanno aspettato (e pagato in proprio) in lista d’attesa i torinesi malati non autosufficienti e quante rivalutazioni hanno dovuto fare ogni sei mesi o un anno. La convenzione attivata due mesi prima che il malato muoia, dopo due anni di pagamento in proprio – quanti casi simili seguiamo! – non è una “presa in carico”, ma una macabra “presa in giro”;

2) sotto la definizione “convenzioni” o “prese in carico” c’è di tutto, ma non tutto ha lo stesso valore. Una convenzione definitiva attivata come prevede la legge nazionale (Dpcm 12 gennaio 2017: il ricovero in Rsa è pagato al 50% dal Servizio sanitario nazionale, senza ulteriori vincoli all’accesso) è diversa dalla quota sanitaria attivata nei percorsi di deospedalizzazione (massimo due mesi e poi scatta il contratto privato) o dai ricoveri di sollievo, che durano un mese. In più, nel dato sulle valutazioni svolte dall’Uvg e sui “sostegni attivati” dall’Asl c’è anche la misura assistenziale “Scelta Sociale”? Se sì, andrebbe almeno ricordato che tale misura era effettuata senza fondi sanitari (solo politiche sociali), rivolta proprio a quei cittadini senza quota sanitaria (quindi, un’ammissione di inadempienza da parte della Regione e delle Asl) e che copriva un importo di circa il 20% della retta, senza possibilità di attivare altre compartecipazioni pubbliche, solo per coloro che sono rientrati negli stringenti parametri di reddito;

3) per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, nei dati riportati dal Direttore generale dell’Asl viene omesso di segnalare che è stato soppresso il contributo al familiare che si assume volontariamente il ruolo di accuditore familiare. Per avere diritto al contributo (massimo 600 euro, ma è graduato a discrezione dell’Uvg) la famiglia è obbligata ad assumere personale di assistenza e a pagare anche un operatore socio-sanitario inviato obbligatoriamente a casa dall’Asl, ma senza compiti di cura (un contentino alle cooperative?), che sottrae risorse al già misero contributo. Sorge il dubbio che le “prestazioni domiciliari” cui fa riferimento l’Asl siano, anche in questo caso, un misto poco omogeneo. Anche qui viene contata “Scelta Sociale”? Oppure l’Adi finanziata dal Pnrr?

«I casi che arrivano quotidianamente in Fondazione promozione sociale – spiega la Presidente, Maria Grazia Breda – raccontano realtà diverse. Rileviamo che le Asl puntano a far consumare i risparmi o a far vendere la casa dell’anziano malato non autosufficiente prima di qualsiasi intervento. Si tratta di una prassi illegittima, perché la convenzione in Rsa è una prestazione Lea, che il Servizio sanitario (quindi l’Asl) deve garantire in base alle leggi vigenti, senza tenere conto della situazione economica, come per tutti i malati». Peraltro, in questo caso il ricovero in convenzione non è gratuito, perché comunque l’anziano malato è tenuto a versare la quota alberghiera di degenza, che è pari al 50% della retta di ricovero.

«La mancanza di chiarezza non aiuta a risolvere i problemi e affrontare l’ingiustizia delle mancate cure – osserva Breda – Avanziamo due proposte concrete. Primo: l’Assessore alle Politiche sociali della Città di Torino, Jacopo Rosatelli, forte del mandato della mozione 46/2024 approvata dal Consiglio comunale il 17 giugno u.s., che chiedeva chiarezza sul tema, promuova un incontro pubblico con i cittadini e le organizzazioni sociali con il Direttore generale dell’Asl Città di Torino, chiedendo di precisare le informazioni. Secondo: l’Assessore alla sanità della Regione Piemonte, Federico Riboldi, istituisca e convochi a brevissimo un Tavolo socio-sanitario sul tema con i rappresentanti delle associazioni, delle organizzazioni sociali e dei gestori dei servizi, che possa intervenire sulla situazione di emergenza e poi fare da riferimento per la redazione del nuovo Piano socio-sanitario».

Fondazione promozione sociale onlus/Ets – tel. 011.8124469 – cell. 345.6749838

Fondazione promozione sociale onlus/Ets

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