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Vite in ascesa | 02 agosto 2024, 08:00

QUANDO LA MONTAGNA DIVENTA GUARITRICE DEL CORPO E DELL’ANIMA

di Roberta Maffiodo Foto di Walter Marchisio

Via Normale Corno del Camoscio

Via Normale Corno del Camoscio

Dal giorno che non scorderò mai, il 25 luglio 2022, tutto sembrava essersi fermato, il tempo, la gioia di vivere e tutto ciò che ci ruotava intorno.

Ho trovato allora il coraggio di raccontare su “Aosta Cronaca” l’infarto occorso a mio marito mentre m’insegnava a salire su una “Via Ferrata” nei pressi di Briançon, trasportato con l’elicottero sotto il mio sguardo smarrito, all’ospedale di Grenoble, che confermata la diagnosi, prontamente intervennero e dopo una coronografia gli applicarono uno “stent coronarico”  salvandogli la vita!

Il cammino personale non si racconta volentieri sulle pagine dei giornali, ma se oggi ho ripreso, in accordo con mio marito, a raccontare il presente, come sul libro “Guarigioni d’amore” che stiamo presentando in diverse sedi, è perché la montagna sta diventando giorno dopo giorno, sempre di più la guaritrice del nostro corpo e della nostra anima.

In vetta Waltre e Lodovico Marchisio

Un cammino difficile che ci ha fatto conoscere e incontrare sportivi afflitti dal Parkinson, di cui anche soffre mio marito, un cammino di speranza, aiutati dai figli di Lodovico Stella e Walter, con la prima che come già campionessa italiana di arrampicata sportiva, oggi residente con la famiglia in Canada, ha lanciato ai medici di tutta Europa quest’appello apparso anche sul nostro libro: “… tornando a mio padre bisogna aiutarlo a mantenere il legame con la montagna; so che mio fratello Walter fa del suo meglio per aiutarlo: ma sicuramente né io né lui siamo abbastanza competenti in materia.

Sinceramente ritengo che tra le terapie per combattere il Parkinson e tutte le malattie che hanno origine nel cervello, debbano occupare il primo posto le vere passioni dei pazienti e le attività che trasmettono loro gioia e che possono cambiare il decorso di una malattia apparentemente inguaribile come il Parkinson, tanto più nel caso di mio padre, per il quale la montagna è sempre stata e sarà per sempre una ragione di vita per lui”.

Walter, il figlio secondogenito, fu “il braccio” e cioè iniziò a fare tornare la voglia di camminare a Lodovico, che dopo l’infarto si era chiuso in casa con i suoi ricordi di montagna, fino a farlo tornare in montagna e all’arrampicata, tanto da avvalere l’ipotesi di sua sorella, poi confermata da diversi medici parkinsoniani e cioè: che scalando la roccia e non solo, Lodovico riattiva i suoi schemi motori di base, sta cioè usando la sua memoria di quando ancora scalava e così la sua maledetta malattia viene per un attimo messa in panchina e lui riappare quasi sano.

Appena torna però a fare cose non legate all’arrampicata, ecco che il Parkinson ricompare e il suo corpo torna a regredire.

Per andare oltre ecco che il 25 luglio 2024 si decide con consenso non unanime dei medici di provare a salire il “Corno del Camoscio”, un breve tremila alla portata di tutti” apparso su “Aosta Cronaca” nella rubrica “Vite in ascesa” nel numero del 27 gennaio 2023” a cui, per non ripetere tutta la parte descrittiva della salita non inerente quest’articolo, qui riporto solo l’essenziale: “Per chi ama la montagna, la quota magica di tremila metri viene facilmente superata, ma per i curiosi non preparati, famiglie con figli in tenera età, anziani in buona salute e altre persone non avvezze alla fatica, trovare una cima di facile accesso e di brevissima salita a tale quota non è facile, escludendo a priori le cime con impianti che raggiungono la sommità!

La cresta che unisce le cime

Un “escamotage” ci porta a esaminare quelle cime avvicinabili con impianti o valichi solcati da strade che si approssimano a tale quota senza raggiungerla, obbligando quindi l’escursionista a usare le gambe per toccarne la cima. Una di queste è il “Corno del Camoscio”. L’esperimento se un infartuato dopo che è stato dichiarato guarito, possa salire ancora in montagna oltre i 3000 metri, su un percorso di “prova” con poca acclimatazione ma anche con poco dislivello da fare a piedi, nel mio caso, come per il Parkinson è stato positivo, e lo riassumo in quest’unica frase: “La montagna è in grado di curare e guarire molte ferite del nostro corpo e della nostra anima”.

La mia conclusione, credendo che la fede e la passione della montagna abbiano un comun denominatore mi sono così espressa: “Nella salita ho provato tanta fatica e per un attimo il mal di montagna (avvallato dalla nota di fondo articolo) mi blocca, anche se sono a una quota irrisoria per chi frequenta l’alta montagna, ma non per me che non conoscevo questo mondo magico, per me irreale prima d’incontrare Lodovico, trovandomi quindi a un’altezza mai raggiunta prima anche se ero solo a 3026 metri, ma quando grazie a mio marito e suo figlio che mi scuotono, raggiungo finalmente la mia prima vetta sopra i tremila metri, mi sento una frescura che mi colpisce il volto e m’infonde tanta serenità e pace tanto da non sentire più la fatica come se Dio volesse mandarmi un messaggio e comprendo che lui è qui, accanto a noi per proteggermi e custodirmi e mi parla attraverso la voce del vento, sussurrandomi: - Voi siete i miei figli e ovunque andrete io vi sarò accanto e vi sosterrò …. e nel momento di maggior bisogno vi darò attraverso questa fatica che voi fate, un segno che su tante cime voi ritrovate attraverso la mia croce, come una luce che si riflette in un segno divino che sui monti diventa per tutti gli alpinisti un filo diretto col Paradiso …. Qui non c’è una croce in vetta, ma solo un ometto che indica la cima raggiunta, ma in discesa vedo due stambecchi fermi a poca distanza da me che mi osservano e comprendo in quel momento il legame profondo che mi unisce a Dio attraverso la montagna …”.

NOTA TECNICA: Corno del Camoscio o Gemshorn dal Passo dei Salati, dislivello (145 m), quota partenza (2.881 m), quota vetta (3026 m), grado di difficoltà E (facile senza neve), partenza dal Passo dei Salati raggiungibile nei mesi estivi con 2 tronchi di ovovie che partono da Gressoney Staffal – ore per salire in vetta: 40 minuti.

NOTE PER LA SALUTE: la quota altimetrica influisce con andamento inversamente proporzionale sulle nostre capacità di prestazione fisica: più si sale e più la soglia di affaticamento si abbassa, quindi si va più lenti. Tutto ciò è in relazione con la diminuzione della pressione di ossigeno, elemento essenziale per il funzionamento del metabolismo umano. A 3000 metri la pressione d’ossigeno si riduce già del 30% rispetto al livello del mare e il nostro corpo comincia a risentirne: un escursionista molto ben allenato a questa quota si deve rassegnare a una riduzione di oltre il 25% delle proprie prestazioni rispetto alle basse quote.

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