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ECONOMIA | 22 luglio 2024, 09:47

Rischio povertà in Italia, stipendio da 1.245 euro è la soglia minima

In Italia, una parte significativa della popolazione è costretta a sopravvivere. Per riuscire a vivere, infatti, occorrerebbero stipendi adeguati al costo della vita, tutele e contratti in regola—cose che non vengono garantite ovunque, con determinati settori ben più colpiti di altri

Rischio povertà in Italia, stipendio da 1.245 euro è la soglia minima

In molti riescono a mettere insieme uno stipendio completo suddiviso tra coniugi o partner. Tuttavia, questo ritorno economico è ben distante da quanto dovuto per l’impegno in termini orari. A fronte degli aumenti dei costi quotidiani, è mutata anche la soglia di povertà in Italia. L’asticella è oggi posta più in alto di quanto si possa pensare, stando ai dati Istat.

La cifra da cerchiare in rosso è: 1.245 euro. Parliamo di netto al mese in busta paga, che non basta a evitare il rischio povertà in questo Paese, secondo i dati Istat. Tante statistiche, riassunte, propongono una vera e propria soglia ben precisa e concreta, sotto la quale un singolo cittadino, in assenza di altre forme di guadagno, può dirsi in difficoltà economica. Ciò vuol dire vivere di stipendio in stipendio, nella maggior parte dei casi, e quasi certamente non avere possibilità di risparmio. Viene dunque da chiedersi: cosa accade in caso di imprevisto gravoso? Si parla di povertà lavorativa, ovvero di soggetti che non riescono a vivere dignitosamente nonostante il loro impegno quotidiano. L’Italia si conferma ai primi posti in Europa sotto questo aspetto. Una statistica orribile che, stando a quanto evidenziato dall’Istat, è pari all’11,5%. Ecco la percentuale di soggetti occupati nel nostro Paese che versano in condizioni di difficoltà economiche. L’allarme diventa ancor più rosso se si guarda ai dipendenti in povertà assoluta, pari all’8,2%.

Cos’è il rischio povertà

In un sistema che funziona, chi non lavora e non ha rendite passive è povero o rischia di diventarlo. Un ragionamento estremamente elementare, che si scontra con un cortocircuito dei nostri tempi. Al giorno d’oggi, non è più vera in maniera assoluta neanche l’equazione “maggiori ore di lavoro equivalgono a un maggior stipendio”.

L’Istituto di statistica fornisce una definizione di rischio di povertà per gli occupati dai 18 anni in su. Lo si calcola all’interno di famiglie con reddito netto equivalente inferiore a una soglia relativa. Si tratta del 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito medio equivalente.

In parole povere, si fa riferimento al reddito mediano annuo in Italia, che nel biennio 2021-2022 si è attestato a 26.979 euro netti per famiglia. Il 60% corrisponde a 16.187 euro, ovvero 1.245 euro netti per 13 mensilità. Ecco la matematica dell’indigenza in questo Paese.

Un’analisi su tali dati, condotta da Money, evidenzia come il pericolo maggiore sia ovviamente per i nuclei composti da un solo membro lavorativo. La situazione cambia in caso di nuclei in cui più soggetti concorrono a generare reddito. In questi casi si tende a superare la soglia di povertà, pari a 16.187 euro annui, ma nelle pieghe del sistema ci si ritrova a osservare chi svolge impieghi full time, ben mascherati, per portare a casa, in due, una somma non molto superiore.

In queste statistiche trova ampio spazio l’analisi della questione meridionale. Le famiglie più in difficoltà sono infatti al Sud. L’ultimo rapporto Istat non può che confermare le differenze geografiche. Nel 2023, al Nord, è rimasta stabile l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare: 8,0%. Al Sud è più alta sia a livello familiare che a livello individuale: rispettivamente 10,3% e 12,1%.

Un fattore sintomatico di povertà è dato dalla grave deprivazione materiale. Si può parlare di condizione di indigenza quando si verificano almeno 4 segnali su 9:

  • Bollette in arretrato;
  • Affitto in arretrato;
  • Mutuo in arretrato;
  • Rato prestito in arretrato;
  • Incapacità di riscaldare adeguatamente l’abitazione;
  • Incapacità di sostenere spese impreviste di 800 euro.

In questo quadro trovano spazio poi anche privazioni come:

  • Non potersi permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni (proteine della carne, del pesce o equivalente vegetariano);
  • Non potersi concedere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa;
  • Non poter comprare una TV a colori;
  • Non poter comprare una lavatrice;
  • Non potersi permettere un’automobile;
  • Non potersi permettere un telefono.

Il dato drammatico che emerge dal Rapporto Istat 2024 mostra come la percentuale di cittadini occupati a rischio povertà sia all’11,5%, mentre quella dei lavoratori dipendenti in povertà assoluta è all’8,2%.

Quanto bisognerebbe guadagnare per vivere bene in Italia? Il potere d’acquisto

Il più valido e da non trascurare è sicuramente il potere di acquisto del denaro, che varia notevolmente da nord a sud. Uno stipendio di 1.500 euro potrà permetterci un diverso potere d’acquisto in base a dove abitiamo, se al Nord o al Sud. Questo perché il costo della vita varia addirittura da un centro abitato all’altro.

Prima della pandemia di Covid-19, i centri più cari erano Bolzano, Milano e Roma, mentre agli ultimi tre posti si piazzavano Bologna, Novara e Vicenza. Va da sé che per vivere bene a Milano (attualmente anche ad Aosta) occorre uno stipendio più alto rispetto a quello necessario per vivere bene a Bologna.

Un altro elemento da considerare per capire quanto bisogna guadagnare per vivere bene in Italia è senza dubbio la composizione del nucleo familiare. Va da sé che, più figli a carico si hanno, maggiore è lo stipendio necessario per poter vivere bene. Per dare un’idea, dobbiamo partire dal singolo individuo. Visto che il costo della vita varia da centro abitato a centro abitato, prenderemo in considerazione la città di Milano, una delle più costose in Italia.

Studi recenti effettuati su un paniere di consumatori hanno evidenziato che lo stipendio minimo per poter vivere bene in una città con le caratteristiche di Milano è di 1.500 euro. Uno stipendio del genere, per persona e senza figli a carico, permette di far fronte in tranquillità a tutte le spese ordinarie che concorrono al costo della vita e di poter tenere qualcosa da parte.

Per le famiglie, il discorso è diverso. In questo caso bisogna prendere in considerazione il reddito globale. Secondo gran parte degli studi sull’argomento, il reddito minimo per una coppia con due figli dovrebbe essere compreso tra 3.000 e 3.500 euro al mese.

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Per quanto riguarda la Valle d'Aosta sono circa 5000 famiglie a rischio povertà.

La giunta regionale della Valle d'Aosta ha dato il via libera a uno schema di convenzione con il Comune di Aosta per la creazione di un nuovo centro di servizi dedicato alla lotta contro la povertà. Questo progetto sarà realizzato nell’ex dormitorio pubblico situato in via Monsignor Stevenin, che sarà opportunamente riqualificato per ospitare il centro.

Il nuovo centro avrà una serie di servizi destinati a rispondere alle esigenze delle persone in difficoltà. Tra le principali attività previste ci saranno: una limitata accoglienza notturna, un presidio sociale e sanitario, ristorazione, distribuzione della posta, mediazione culturale, orientamento al lavoro, consulenza legale, distribuzione di beni in riuso e una banca del tempo.

L'iniziativa è sostenuta con fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con una spesa prevista di 910 mila euro. Questo intervento non solo rappresenta un passo importante per il miglioramento dei servizi sociali nella città di Aosta, ma anche un significativo impegno della Regione per affrontare le problematiche legate alla povertà e alla marginalità.

Il progetto riflette una crescente attenzione verso le necessità dei cittadini più vulnerabili e offre una risposta concreta per sostenere chi si trova in difficoltà economica e sociale. La riqualificazione dell’ex dormitorio di via Stevenin si configura così come un punto di riferimento fondamentale per il futuro della comunità locale. (red)

Bruno Albertinelli pres. Federconsumatori VdA

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