/ CULTURA

CULTURA | 24 giugno 2024, 13:54

Caro Nino, ti scrivo

Il volume, curato con affetto dal figlio Alberto, attento custode delle memorie familiari, è completato da bellissime fotografie in bianco e nero e a colori

Caro Nino, ti scrivo

Questo libro ricostruisce fedelmente i tredici mesi che Giovannino Guareschi (scrittore, poeta, vignettista, giornalista di fama internazionale) trascorse ingiustamente nel carcere San Francesco del Prato di Parma tra il 1954 e il 1955. Un'opera completa, che si rivela più che mai attuale: perché oggi come allora la libertà di stampa è spesso sotto attacco. Sono innumerevoli i giornalisti\e che si finiscono rovinati a causa di querele forse non sempre fondate.

Attraverso l'epistolario che Giovannino intrattenne con la sua amata "Vedova Provvisoria", la moglie Ennia (Margherita per i lettori), gli amici, i figli e i fans sparsi in tutto il mondo, apprendiamo quanto la sua quotidianità sia stata difficile.  Lettere censurate e bloccate, cambi di biancheria negati, vitto specifico perché la sua ulcera non peggiorasse proibito, doni innocenti rimandati al mittente, visite limitate. Un vero e proprio mobbing che venne perpetrato ai danni di un uomo già seriamente sofferente.

Giovannino era accusato di aver pubblicato sul suo giornale due lettere attribuite ad Alcide De Gasperi. Venne condannato a causa del commento che accompagnava tale contenuto. Un atto di clemenza avrebbe forse spezzato una catena di dolore. Ma non venne.

Oltre le mura della prigione, i film di Peppone e Don Camillo spopolano sul grande schermo.

Nella casa di Giovannino arrivano 232 pacchi di missive.

Giovannino aveva già trascorso due anni nei lager nazisti.

Quell'esperienza a Parma, affrontata con coraggio e inconfondibile umorismo, segnò per sempre la salute fisica già compromessa del grande scrittore. Che tuttavia non perse mai la fede in Dio ("Completa è la mia fede nella divina Provvidenza!"), né l'altruismo: si adoperò fino all'ultimo per aiutare concretamente gli altri carcerati e anche in seguito mantenne buoni rapporti con le poche persone che nella struttura si erano dimostrate umane nei suoi confronti.

Sono tanti i commenti che ci fanno sorridere. In occasione delle festività natalizie, Guareschi scrive: "Non dovrò girare tutta Milano per cercare regali che non si trovano !!".

Il volume, curato con affetto dal figlio Alberto, attento custode delle memorie familiari, è completato da bellissime fotografie in bianco e nero e a colori.

"Caro Nino ti scrivo. Giovannino Guareschi in carcere" è proposto da Bur Rizzoli. Pag. 368. Euro 13,50.

Nel 1950 una vignetta, pubblicata sul Candido, disegnata da Carletto Manzoni, costò a Guareschi, all'epoca condirettore del settimanale, la prima condanna per vilipendio al presidente della Repubblica, Luigi Einaudi. La vignetta, intitolata Al Quirinale, raffigurava una doppia fila di bottiglie: sullo sfondo, la figura di un uomo con il bastone, simile a un ufficiale che passa in rassegna due truppe di corazzieri ("I corazzieri" diceva la didascalia della vignetta). Il Candido aveva messo in risalto il fatto che Einaudi, sulle etichette del vino di sua produzione (un Nebbiolo), permetteva che venisse messa in evidenza la sua carica pubblica di capo dello Stato.

La bottiglia di vino, infatti, portava sull’etichetta «Nebbiolo, il vino del Presidente». Ci furono anche altre vignette, oltre quella “Al Quirinale”, come quella del Giro d'Italia con il motto «Brindate Einaudi!» oppure l'omino che aveva sul capo la «bottiglia di Damocle».

Giovannino fu condannato a otto mesi di carcere, ma l'esecuzione della condanna fu sospesa perché risultava incensurato.

Il 15 aprile 1954 Guareschi fu nuovamente condannato per il reato di diffamazione a mezzo stampa su denuncia di Alcide De Gasperi, capo del governo per oltre sette anni dal dicembre 1945 all'agosto 1953. Giovannino era venuto in possesso di due lettere (poi risultate false) dell'esponente politico trentino risalenti al 1944. In una di esse De Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare i centri nevralgici della capitale «per infrangere l'ultima resistenza morale del popolo romano» nei confronti dei fascisti e degli occupanti tedeschi.

Secondo Guareschi, le missive, che aveva ricevuto da Emilio De Toma, sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana della RSI, erano autentiche. Prima di diffonderle aveva sottoposto le lettere a una perizia calligrafica, affidandosi a un'autorità in materia, il dottor Umberto Focaccia. Il 24 e il 31 gennaio 1954 le missive uscirono sul Candido

Al processo, lo scrittore e giornalista affermò di aver agito in assoluta buona fede. Umberto Focaccia, perito dello stesso Tribunale di Milano, affermò in aula di avere effettuato un “lungo, attento e scrupoloso esame di confronto con molti altri scritti sicuramente autentici del De Gasperi…”, per poi dichiarare “in piena coscienza, di riconoscere per autentiche del De Gasperi la scrittura del testo e la firma di cui sopra”,  riguardo alla seconda lettera, e di riconoscere per autentica anche la firma apposta in calce alla prima. Sul piano probatorio, mentre la prima lettera era dattiloscritta e risultava autografa solamente nella firma, la seconda era integralmente autografa, risultava di pochi giorni successiva alla prima ed era strettamente connessa alla precedente, anche sotto il profilo del contenuto. Il fatto che, a differenza del primo documento, fosse possibile esaminare non solo una firma, ma un manoscritto interamente redatto a mano, avrebbe potuto provare, o al contrario demolire, le tesi di Guareschi.

Da parte sua, lo statista trentino, che aveva dapprima concesso la più ampia facoltà di prova in ordine alla genuinità dei documenti in contestazione, in seguito si smentì a più riprese attraverso il proprio difensore, l'avvocato Delitala. A giudizio del penalista, non aveva infatti senso – questa la chiave di volta del processo – effettuare perizie sui documenti. Delitala fece il possibile per eludere ogni verifica sulle lettere: ben più del giudizio di altri periti, affermò l'avvocato, rilevavano, sul piano processuale, il giuramento dello stesso De Gasperi e le prove - di cui una chiara, l'altra, di contro, equivocabile - fornite dai graduati inglesi che avevano sostenuto la tesi dell'esponente democristiano. "Se il Tribunale proprio ritiene di non poterne fare a meno, faccia pure, ma una perizia - perorò Delitala, appellandosi alla coscienza dei magistrati milanesi – sconta pur sempre il rischio di un errore peritale". Ma soprattutto l'avvocato di De Gasperi si oppose alla perizia per evitare ritardi nel processo che si svolgeva per direttissima.

Guareschi mise in dubbio l'attendibilità delle dichiarazioni inglesi, facendo presente di essere sgradito al governo del Regno Unito per la sua polemica sulla contesa di Trieste fra l'Italia e la Jugoslavia di Tito; evidenziò che De Gasperi era uno storico, fedele alleato degli angloamericani.

Il Tribunale di Milano non diede alcun peso a queste deduzioni e, accogliendo senz'altro le richieste formulate dal difensore di De Gasperi, non mostrò neppure alcuna curiosità per i documenti agli atti: negò a Guareschi la perizia calligrafica e la perizia chimica; negò persino la possibilità di produrre le testimonianze potenzialmente favorevoli allo scrittore in ordine alla provenienza e all'attendibilità dei documenti attribuiti a De Gasperi, tra cui anche quelle di persone vicine allo stesso De Gasperi, come Giulio Andreotti. La motivazione del Collegio giudicante in ordine alle perizie, fu la seguente: «le richieste perizie chimiche e grafiche si appalesano del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere». Il 15 aprile Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere.

Uscito dalla prigione, Giovannino sconterà sei mesi agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Roncole Verdi.

Distrutto dall'esperienza carceraria, in seguito andrà spesso a curarsi a Kurhaus in località Lisone di Cademario, in Svizzera. Nato il primo maggio 1908, morirà giovane il 22 luglio 1968, a Cervia, stroncato da un infarto. Scese nel grembo della terra avvolto dalla bandiera monarchica.

Arrivederci, Giovannino.

Edi Morini

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore