Poet viene alla Luce il 26 agosto 1855 a Perrero, in Val Germanasca (To), ultima di una numerosa, allegra nidiata composta da quattro fratelli e tre sorelle. E’ valdese, come buona parte di coloro che vivono in quel suggestivo territorio montano profondamente legato ai palpiti della riforma protestante e segnato da secoli di sanguinarie guerre religiose, crudeli persecuzioni, logoranti sofferenze. I suoi genitori, Giovanni Pietro e Marianna Richard, sono proprietari rurali benestanti, residenti in borgata Traverse. Lidia cresce circondata e protetta dall’amore indiscusso di una famiglia unita. Marianna e Giovanni garantiscono un’istruzione e una buona posizione a tutte le loro creature.
Lidia Poet
Adolescente, Lidia si trasferisce a Pinerolo, presso uno dei fratelli: Enrico, di professione avvocato. Nel pinerolese, si diploma maestra: un traguardo ambito e non comune all’epoca. In seguito, si reca in Svizzera, ad Aubonne, sul lago Lemano, nel Cantone di Vaud, distretto di Morges: impara benissimo il tedesco e l’inglese. Completata l’ istruzione linguistica, rientra in Italia e si iscrive alla facoltà di legge di Torino nel 1878. E’ una bella ragazza: intelligente, generosa, altruista, decisa a tutelare i meno fortunati, soprattutto le donne. IL 17 luglio 1881 Lidia discute la tesi di laurea: sulla condizione femminile e sul diritto di voto per le donne.
Il risultato è eccellente: ottiene il massimo dei voti. Nei due anni seguenti, lavora come praticante presso lo studio del senatore Cesare Bertea e assiste a parecchie sessioni in tribunale. Superati brillantemente gli esami per diventare procuratore legale, chiede di entrare a far parte dell’Ordine degli Avvocati di Torino. Non esistono precedenti, ma neppure espliciti divieti nel settore. I colleghi, che la stimano e la ammirano, accolgono la sua richiesta. Lidia è la prima donna avvocato italiana, iscritta all’Ordine il 9 agosto 1883.
Ma il procuratore generale, scandalizzato da tale novità, presenta denuncia alla corte d’appello del capoluogo sabaudo: chiede con ferrea determinazione il capovolgimento della situazione. Le sue istanze purtroppo vengono accolte l’11 novembre 1883. Perché si basano sia su obiezioni di tipo legale, dal momento che le donne non godevano assolutamente di diritti civili in quel tempo, che su considerazioni “scientifiche”.
Si riteneva infatti che, durante il ciclo mensile, la donna non potesse agire serenamente: per non parlare di momenti delicati come la gravidanza o il climaterio. In base a questi preconcetti nessuna donna poteva cimentarsi in quella che viene definita “l’avvocheria esercibile solo da maschi”. A nulla vale il fatto che in altri Stati molte esponenti del gentil sesso esercitino senza intoppi la professione, prima tra tutte Clara S. Foltz, madre di ben cinque figli, che difende gli esclusi a Los Angeles, sostenendo per prima l’importanza di una difesa a carico dello Stato per i non abbienti. Clara eserciterà per oltre cinquant’anni la professione, unendola alla carriera politica.
Si candiderà infatti come governatore della California a ottantun anni!! Meno fortunata, nel vecchio Continente, Marie Popelin (1846\1913), insegnante, avvocata, giurista e attivista belga, che consegue il dottorato in giurisprudenza nel 1888 a Bruxelles, ma non ottiene il permesso di inserirsi nell’ordine degli avvocati. Le sue giuste proteste ottengono largo eco tramite la stampa, dando il via al famoso “Caso Popelin”. Rimane attiva nel Consiglio Nazionale delle Donne Belghe fino alla morte.
Lidia presenta ricorso in cassazione, ma il verdetto piemontese viene confermato. Di fatto, eccola estromessa dall’ordine. La sua iscrizione è annullata sul nascere. Non eserciterà mai ufficialmente come avvocata. Di fatto, si consacrerà comunque con pieno successo agli ideali che le stanno a cuore, aiutando Enrico come portavoce dei minorenni, degli sfruttati, dei detenuti e dell’altra metà del cielo, nonché come sostenitrice instancabile del suffragio femminile. Sarà un’attivista scrupolosa, coraggiosa, paziente, entusiasta. Non permetterà a un divieto assurdo di minare il suo ottimismo. A sostenerla strenuamente in tutte le sue pacifiche e civili battaglie sarà la testata femminista “La Donna”, periodico militante.
Lidia non si sposerà mai. Nel 1883 partecipa al primo Congresso Penitenziario Internazionale a Roma e nel 1890 viene inviata come delegata al quarto Congresso Penitenziario Internazionale a San Pietroburgo, rappresentando con successo la nostra Penisola come vicepresidente della sezione di diritto. Viaggia in tutta l’Europa. Il governo francese la invita a Parigi e la nomina Officier dell’Accadémie, conferendole un titolo onorifico riservato a chi ha contribuito alla diffusione della cultura nel mondo.
Conosce Paul Verlaine, Victor Hugo e Guy De Maupassant. Durante la prima guerra mondiale, si prodiga come infermiera della Croce Rossa e riceve la medaglia d’oro per il suo impegno sul campo. Concluso il conflitto, la legge Sacchi del 17 luglio 1999 abolisce l’autorizzazione maritale, che sanciva la netta supremazia dell’uomo nel contesto familiare, e autorizza le donne ad esercitare nei pubblici uffici, esclusa la magistratura. Nel 1920, a sessantacinque anni, Lidia Poet diventa finalmente avvocata.
Può indossare la toga. Nel 1922 presiede il Comitato per il voto alle donne. Nel 1946, vota durante le prime elezioni a suffragio universale. Muore il 25 febbraio 1949 all’età di novantaquattro anni a Diano Marino. Riposa nel piccolo cimitero di San Martino a Perrero, tra le sue montagne. Pinerolo, ricordando i suoi meriti, le ha intitolato una scuola. Livorno le ha dedicato una strada. La sua memoria resta in benedizione e come esempio per tutte e tutti noi.
Di recente, Clara Bounous, per anni sindaca di San Germano Chisone (To), le ha dedicato con successo un secondo libro (il primo venne stampato da Alzani tempo fa). Si tratta di "Lidia Poet, una donna moderna", Lar Editore. Pag. 199. Euro 16.