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FEDE E RELIGIONI | 01 novembre 2012, 10:43

La festa dei Santi ci richiama come Chiesa al grande tema della speranza

Mons. Nosiglia: "La preghiera di suffragio per loro ci aiuta a confermare in noi la beata speranza che un giorno ci rivedremo in Dio per vivere per sempre uniti in quel Regno dove non c’è pianto, pena e sofferenza alcuna, ma solo gioia e vita piena di amore"

La festa dei Santi ci richiama come Chiesa al grande tema della speranza

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA, NELLA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

«La festa dei Santi ci richiama come Chiesa al grande tema della speranza, che è Cristo risorto fondamento di ogni altra attesa, desiderio di vita e di pace dell’umanità intera. I santi e i beati, che hanno vissuto qui tra noi, sono i testimoni più concreti e veri della speranza cristiana. L’hanno vissuta nel quotidiano della loro esistenza, tra gioie e sofferenze, accogliendo e attuando le Beatitudini del Vangelo con semplicità e fedeltà.

Sant’Agostino, di fronte alla schiera numerosa dei santi, affermava: «Se ci sono riusciti loro a farsi santi, perché non potrei riuscirci anch’io?». È la domanda che vi invito a farci, cari fratelli e sorelle, in questo giorno di festa, che ci unisce ai tanti discepoli del Signore che godono la vita beata di Dio per sempre. Ma per camminare su questa via è necessario alimentare un profondo desiderio di essere santi e tendere con tutto il cuore e le forze a questo obiettivo nella nostra vita. Come affermava san Benedetto: «Voglio farmi santo, presto santo, grande santo».

Se noi desideriamo una cosa bella ed importante, vogliamo raggiungere una meta nella professione, desideriamo intensamente una persona perché l’amiamo, impegniamo tutte le nostre risorse per soddisfare tale desiderio. Così deve essere per la santità. Se questa meta non sta al centro dei nostri desideri più profondi e concreti, resterà un modello astratto, un riferimento concettuale o comunque non incisivo per spingerci a percorre le vie che ci possono condurre a questo traguardo.

Ma in che cosa consiste questa meta della santità? È Dio stesso! Lui è il premio della vita! Lui è il Bene assoluto a cui il cuore anela e verso cui deve tendere il nostro desiderio! «Tu ci hai fatti per te Signore – diceva Agostino – e il nostro cuore è inquieto, cerca la felicità nei beni di questa terra, nelle persone, ma non la trova finché non riposa in Te». La Parola di Dio ci annuncia e svela questo mistero della santità e ne indica anche la via possibile e realizzabile per ciascuno.

La prima lettura parla di una moltitudine immensa di ogni lingua, popolo e nazione che nessuno può contare. Sta davanti al trono di Dio e gode dell’eterna felicità, che è la sua presenza, lo loda e canta le sue lodi. Dunque i santi sono tanti, tantissimi, perché, al di là di quelli proclamati tali dalla Chiesa, ogni cristiano è chiamato e può farsi santo. La santità è infatti la condizione normale di ogni figlio di Dio. Ce lo ricorda anche la seconda lettura con accenti profondissimi: «Siamo figli di Dio e dunque eredi della sua gloria». Su questa terra non è ancora visibile e sperimentabile pienamente tale realtà, ma lo sarà quando vedremo Dio faccia a faccia dopo la morte. Se siamo figli, vive dunque, in noi lo Spirito Santo che ci fa santi, separati dal mondo e ricchi di grazia. Animati da questa speranza certa, camminiamo ogni giorno con lo sguardo rivolto alla meta, che è il possesso pieno ed eterno di Dio, e operiamo nella carità perché questa è la via privilegiata della santità, che ci garantisce di raggiungere tale meta.

Le Beatitudini proclamate da Gesù, che lui stesso ha vissuto, indicano con chiarezza questa strada della testimonianza e della felicità promessa a chi lo segue e vive come lui la povertà, la sofferenza, la purezza, la mitezza e la misericordia, l’impegno per la giustizia e per la pace, andando contro la mentalità di questo mondo e sottoponendosi a scelte in contrasto con l’ambiente e la cultura dominante del possesso, del divertimento, del piacere, della potenza e dell’arroganza dei più forti, della ricerca del primato. Di questa via si sono fatti carico i santi e beati che la Chiesa ci propone come modelli di vita e amici. Tra loro ci sono anche tanti nostri cari e persone che abbiamo conosciuto e che ora vivono in Dio e ci attendono per condividere insieme la gioia del suo regno.

Il nostro Dio infatti non è il Dio dei morti ma dei viventi, come ci rivela pienamente la risurrezione di Gesù nostro Signore. Egli ci ha amato donando la sua vita per noi e continua ad amarci assicurandoci che, dove è lui nella gloria del Padre suo, saremo anche noi suoi amici e discepoli. È una certezza e non una vaga fiducia. È fondata non solo sul desiderio pure forte nel nostro cuore di poter un giorno incontrare i nostri cari, ma nella fede che accoglie come vera e certa la Parola del vangelo: «rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 Questa è la speranza che deve diradare ogni dubbio che pure a volte alberga dentro di noi circa la sorte dei nostri cari dopo la morte. Un interrogativo che era presente anche nel cuore dei cristiani di Tessalonica che dicevano a Paolo: ma dove sono oggi i nostri cari? E l’apostolo rispondeva: non dovete essere tristi e scoraggiati come quelli che non hanno speranza. Se Cristo è risorto, anche noi risorgeremo e saremo sempre con lui dove i nostri cari ci hanno preceduto e ci attendono per vivere nella gioia della Comunione con Dio e tra noi per sempre.

Questa fede nella risurrezione sostiene e nutre la vita anche nel momento della prova e della sofferenza e diventa via di consolazione non generica ma concreta e fonte di serenità interiore e di profonda riconoscenza. Resta tuttavia il fatto che il dolore per la morte di una persona cara è realtà tragica che segna purtroppo la vita umana soggetta a prove e pericoli di ogni genere e non è facile superarla né subito, quando accade, né dopo, perché la persona perduta resta tale e niente può sostituirla nel nostro cuore e nella nostra esistenza. Gesù davanti alla morte assume come ogni uomo atteggiamenti profondamente partecipi al dolore delle persone: piange davanti alla tomba dell’amico Lazzaro; prova un grande turbamento interiore davanti alla bara del giovinetto di Nain e di fronte al pianto della madre si commuove; grida aiuto al Padre sulla croce… Ma egli si affida anche con fede e fiducia a Dio e ci mostra che mai il cristiano si abbandona alla disperazione, perché guardando Cristo crocifisso ne accoglie l’esempio quando ascolta le sue ultime parole prima di morire: «Padre nelle tue mani affido il mio spirito».

Il testamento che Gesù ci ha lasciato come dono, prima di tornare al Padre, è racchiuso nel suo comando: «fate questo in memoria di me», con cui la Chiesa sigilla il rito dell’Eucaristia, memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore. Noi facciamo memoria di Gesù non solo perché ne ricordiamo le parole e i gesti, ma perché ne accogliamo nella fede la sua viva presenza di Vivente risorto nell’Eucaristia, la celebrazione in cui facciamo memoria anche di Maria, dei santi e dei defunti.

Fare memoria è dunque importante per la nostra fede e lo è anche per quanto riguarda i nostri cari. Oggi e domani ricordiamo con particolare commozione tutto ciò che i nostri cari ci hanno donato, ne riaccogliamo con gioia gli  insegnamenti, i loro esempi, che diventano un patrimonio prezioso a cui possiamo attingere per orientare i nostri comportamenti e le nostre scelte di vita. Ciò che ci hanno dato infatti resta imperituro nel cuore e suscita riconoscenza e affetto verso chi ha condiviso con noi parte della nostra vita terrena.

La memoria deve poi tradursi in impegno nel presente per percorrere con gioia e fedeltà la loro stessa strada di sacrificio nel lavoro, di amore nella famiglia e di impegno nei diversi ambiti del loro vissuto anche comunitario.

La preghiera di suffragio per loro ci aiuta a confermare in noi la beata speranza che un giorno ci rivedremo in Dio per vivere per sempre uniti in quel Regno dove non c’è pianto, pena e sofferenza alcuna, ma solo gioia e vita piena di amore.

Queste sono anche giornate in cui diventa importante che consegniamo alle nuove generazioni il valore del ricordo di chi ci ha lasciato, insieme alla testimonianza della fede nella risurrezione e al dovere di riconoscenza che deve accompagnare la loro crescita e il loro futuro.

Cari fratelli e sorelle,

eleviamo dunque al Signore la nostra comune preghiera per i defunti e insieme per quanti di loro sono dimenticati e per cui nessuno prega e si ricorda. Preghiamo per chi ha perso qualche congiunto da poco o un figlio o parente giovane per cui la ferita resta aperta e stenta a rinchiudersi. Affidiamo a Maria santissima Consolata e consolatrice il dolore e la sofferenza del distacco dai nostri cari: lei che ha sofferto sotto la croce la morte di Gesù e ha certamente vissuto il dramma di ogni madre per la perdita del figlio, conosce e non è estranea alle nostre stesse pene e saprà donarci speranza per ritrovare sempre nella fede e nella preghiera le fonti della vera comunione con chi ci attende insieme con Lei nel Paradiso".

+Cesare Nosiglia Arcivescovo

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